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Doveri: «Le proteste per mettere pressione agli arbitri non saranno più tollerate»

Intervista al Corsport: «L’obiettivo è il gioco all’inglese, discernere il fallo dal contatto di gioco. Possiamo spiegare le nostre scelte ma non prima del giudice sportivo»

Doveri: «Le proteste per mettere pressione agli arbitri non saranno più tollerate»
Db Torino 20/04/2022 - Coppa Italia / Juventus-Fiorentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Daniele Doveri

Il Corriere dello Sport con Alessandro Barbano intervista l’arbitro Doveri. Intervista interessante. Si parla di gioco all’inglese.

Dice Doveri che l’obiettivo della stagione è

«discernere di più il fallo dal contatto di gioco. E fischiare solo il primo».

Ma giocare all’inglese

«non dipende solo da noi».

Perché?

«Per numero di falli siamo allineati alla Champions e ci avviciniamo alla Premier. L’indicazione è quella di non sanzionare tutti i contatti di gioco, ma l’obiettivo di uniformarci al calcio inglese deve essere condiviso da tutte le componenti».

Si spieghi meglio.

«Io non entro in campo col proposito di fischiare poco o molto. Devo mettermi in connessione con la partita e con il modo in cui la interpretano i calciatori. Sono loro alla fine che decidono quanti falli devo fischiare».

Quanto conta, al di là dei falli, il livello di tensione della gara?

«Certamente non poco. Se lascio giocare un contrasto duro, e mi ripeto in quello successivo, e poi la terza volta si spaccano una gamba, vuol dire che non sono sintonizzato con la partita. Se invece lascio andare qualche contatto vigoroso e percepisco che i calciatori accettano di confrontarsi fisicamente, ma in maniera leale, allora posso proseguire su quella strada. Il fatto è che nessuno ti dice che non spezzerà la gamba all’avversario, devi intuirlo da come gli atleti interpretano la gara, e anche da come si rialzano dopo essere caduti per terra. C’è un codice culturale che fa una strana microfisica del potere. È quella che decide quanto è possibile abbassare l’asticella del controllo. L’arbitro deve saperla leggere, ma non la impone solo lui. Se la tensione cresce, i colpi si fanno più duri, le proteste s’infiammano, tu devi smorzare i toni, perché il compito dell’arbitro è anche quello di proteggere l’incolumità dei calciatori».

Perché gli arbitri non motivano le loro decisioni? Non sarebbe un segnale di trasparenza utile?

«Il fatto che io e lei parliamo anni fa sarebbe stato impensabile. Però andare in zona mista dopo la partita a spiegare le tue scelte è complicato. Soprattutto prima che il giudice sportivo abbia preso le sue decisioni. Dal mercoledì in poi, non avrei nessun problema a motivare una scelta e anche ad ammettere un errore in pubblico. A patto che chi ascolta non sia lì solo per attaccarmi».

Le proteste.

«Chi protesta in modo istintivo e misurato sarà compreso, come sempre. Perché la frustrazione fa parte della psicologia del gioco e impone tolleranza. Chi prova a farti pressione in modo sistematico va invece avvisato con il cartellino. Prima giallo. Ci sarà più attenzione a questi atteggiamenti, soprattuto sulle panchine. Ci sono allenatori che escono dall’area tecnica per dare disposizioni in campo e magari si agitano perché il climax della partita è alto. Li puoi comprendere. Ma chi si fa avanti per venti metri, con l’aria minacciosa di chi non ci sta, non può essere tollerato».

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