Troppa nostalgia nelle parole del tecnico. Già abbiamo una piazza sempre rivolta al passato e che da anni getta fiele su De Laurentiis
Nove gol con sei giocatori diversi, punteggio pieno dopo due giornate, un calciomercato che ha (quasi) convinto anche gli scettici più pessimisti e più critici verso la società. Pian piano sta cambiando anche l’opinione dominante di stampa e TV.
Questo è il bilancio delle prime due giornate di campionato che, per carità, avranno anche visto il Napoli giocare contro due squadre destinate a lottare per non retrocedere, ma che comunque hanno messo in carniere 6 punti veri, di quelli che alla fine della stagione si sommeranno a tutti gli altri per vedere dove si è arrivati e fare i conti.
Intanto, però, qualche conto lo si può fare anche ora. Qualche conto con il passato e qualche conto con chi ha sparato ad alzo zero sulla società.
Cominciamo dal passato.
Il Napoli delle ultime stagioni è stato sostanzialmente quello costruito sul calciomercato degli anni di Benitez. Insigne (che era arrivato l’anno prima), Mertens, Koulibaly e Ghoulam (126 anni in quattro) sono andati via, tutti insieme, solo quest’anno. Gli altri li avevano preceduti alla spicciolata.
Quando Benitez si sedette per la prima volta sulla panchina azzurra correva l’anno 2013, il che vuol dire che sono passati nove anni. Per lo sport, un’era geologica.
Nove anni in cui il Napoli ha fatto molto bene, ha messo in bacheca un paio di coppe Italia e una Supercoppa, tre volte è arrivato secondo in campionato, una volta è arrivato in semifinale di Europa League, vari record che resistevano da anni sono stati superati, sia a livello individuale che di squadra. Volendo si potrebbe parlare di ciclo, anche se la ciliegina sulla torta (leggasi scudetto) non è arrivata.
Era, con tutta evidenza e già da un paio d’anni, giunto il momento di mettere un punto e guardare avanti. Eppure, nonostante il ritardo, l’operazione rinnovamento è stata accompagnata da campane suonate a morto, accuse alla società, rimpianti, previsioni catastrofiche e contestazioni con tanto di hashtag autostradali. La campagna abbonamenti era iniziata malissimo, a dispetto di prezzi ragionevolissimi.
Non ha inciso sul sentimento cittadino nemmeno il fatto che la società ha dimostrato di avere le idee chiare sin dall’inizio. Kim, Kvara, Ostigard e Olivera sono stati presi quando il mercato non era ancora aperto. Gli altri (e che altri) sono stati ufficializzati quando mancavano ancora 13 giorni alla chiusura del mercato.
Poi è arrivato il campo, le due partite di cui dicevamo all’inizio, la realtà che ha preso il sopravvento sul mortifero storytelling e tutto è cambiato. Per ora.
Già, perché (e qui veniamo al secondo punto), il Napoli deve fare i conti con l’ostilità che serpeggia in città, sempre pronta a venir fuori e a sputare sentenze con il piglio di chi parla ex cathedra, poco importa che la realtà li smentisca immancabilmente.
Da anni tifo organizzato, tifosi più o meno illustri e persino le istituzioni, in una inedita e forse unica alleanza trasversale, si danno di gomito contro De Laurentiis e la SSC Calcio Napoli. Che sia il mancato arrivo di Soriano o la decisione di adottare troppe magliette in una stagione, che siano i bagni del San Paolo o una frase sbagliata del presidente, che sia il prezzo dei biglietti della curva o il colore della toppa dello sponsor, ogni occasione è propizia per dare addosso a De Laurentiis. Lui è “il pappone”, il Napoli è “la bancarella del torrone”, chi prova a dire che le cose, risultati alla mano, non vanno poi tanto male è “aureliota”, “servo”, “lecchino”, “prezzolato”.
Si sentono offesi dalle parole (spesso distorte, talvolta inopportune, quasi mai campate in aria) pronunciate dal presidente, ma non si sentono offesi per le prepotenze e le vessazioni che accadono all’interno dello stadio ad opera dei gruppi organizzati e nemmeno per il livello infimo dei servizi (parcheggi, trasporti…) offerti a chi allo stadio vorrebbe andare.
Il Napoli funziona mille volte meglio di Napoli. Il Napoli è stabilmente tra le prime squadre di calcio italiane, Napoli è stabilmente tra le ultime città d’Italia per qualità della vita; ma De Laurentiis è “munnezza” sui manifesti affissi in tutta la città, mentre il sindaco che dà la cittadinanza onoraria a Mertens e l’assessore che solidarizza con le curve si meritano il rispetto.
Benitez e Ancelotti, gente che ha allenato e vinto dappertutto, a Napoli sono diventati rispettivamente ‘o chiattone e ‘o pensionato, rei di appoggiare pubblicamente le politiche societarie, mentre chi fa la fronda, come Sarri e come Gattuso, viene portato sugli allori.
La società e Spalletti sono stati contestati alla fine della scorsa stagione, una stagione in cui siamo arrivati terzi, cosa che in quasi 100 anni di storia del Napoli è accaduta solo 11 volte, di cui 4 nell’era De Laurentiis.
Non ho le competenze sociologiche e psichiatriche per dare una spiegazione a questo fenomeno, ma so per certo che le contestazioni di cui ho parlato non sono fondate, che i fatti, i numeri e i risultati smentiscono categoricamente i canti funebri e ci parlano invece di una squadra che fa parte dell’elite del calcio italiano e di una società che funziona da tutti i punti di vista.
Niente è perfetto, tutto è migliorabile ovviamente. Ma contestare e insultare questa società significa semplicemente vivere fuori dalla realtà e infatti da anni ci dobbiamo sorbire le palle messe in giro ad arte: i fantomatici sceicchi che stanno per sbarcare, i Fondi in tangenziale con tir carichi di danari e via inventando.
Ora che Kvaratskhelia segna da ogni dove e in ogni modo, i contestatori fanno finta di voler sotterrare l’ascia di guerra, ma il veleno seminato in questi anni non può essere cancellato.
Sembra una questione di tifo, ma in realtà è questione squisitamente politica.
Sono i reazionari della Napoli che “nun ha da cagnà”, che descriveva in maniera magistrale Lello Arena in “No grazie, il caffè mi rende nervoso”. Una Napoli con il collo girato all’indietro, verso Insigne, Koulibaly, Maradona, Savoldi, Sivori e sempre più indietro fino al bidet, alla prima ferrovia e a Carlo di Borbone. Una Napoli che pensa di essere capitale, mentre è una nobile decaduta, che non si accorge di quanto di buono e nuovo sta accadendo perché è troppo impegnata a rimpiangere un passato mitizzato.
Spalletti, tornando al calcio, in queste due settimane di campionato ha dedicato frasi d’amore e occhi a cuoricino a chi è partito, mentre è fin troppo morigerato nel parlare dei nuovi.
Caro Luciano, “si muore un po’ per poter vivere” cantava Caterina Caselli tanto tempo fa e aveva ragione da vendere. Non pensiamo più a chi è andato via, lasciamoci alle spalle le esultanze Starace Style e godiamoci questo Napoli nuovo, in divenire, imprevedibile, che esulta come le stelle dell’NBA e che finalmente può attaccare anche sulla fascia destra senza che il capitano se ne risenta, che può imbastire un’azione senza fare 200 passaggi all’indietro e non ha paura di lanciare la palla in avanti.
Ci divertiremo, ci stiamo già divertendo, nonostante la zavorra dei contestatori di professione.