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Spalletti ha sfruttato il Monza per insegnare al Napoli come attaccare senza possesso palla

Sembra strano dirlo ma gli azzurri si sono adattati agli avversari. Dopo l’1-0, hanno avuto il 48% di possesso. Zielinski e Lobotka essenziali

Spalletti ha sfruttato il Monza per insegnare al Napoli come attaccare senza possesso palla
Ci Napoli 21/08/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Monza / foto Carmelo Imbesi/Image Sport nella foto: Gianluca Caprari-Stanislav Lobotka

Un Napoli che sa cambiare, che sa adattarsi

È difficile crederci, vista la differenza – abissale – che si è percepita allo stadio Maradona tra Napoli e Monza, eppure la squadra di Spalletti si è adattata ai suoi avversari di giornata. Per dirla meglio: il Napoli ha imposto il suo calcio e i suoi ritmi e non ha cambiato formazione, ma ha anche reagito a un contesto diverso rispetto a quello sperimentato a Verona, si è modellato per rendere al meglio in occasione della gara contro il Monza. È un discorso valido in chiave offensiva, e ne parleremo diffusamente, ma che parte da un accorgimento tattico difensivo piuttosto particolare: il 4-2-3-1 in fase passiva.

Nell’ambito di questa rubrica, abbiamo sempre parlato del sistema di gioco 4-2-3-1 come di una soluzione prettamente offensiva, in grado di scivolare e quindi trasformarsi in un 4-4-2 o anche in un 4-5-1 nel momento della perdita del pallone. Ecco, contro il Monza il Napoli si è invece disposto con 4-2-3-1 quando era il Monza a tenere palla. Soprattutto nel primo tempo. Lo dicono i dati, i campetti posizionali, le immagini estrapolate dalla partita:

In alto, le posizioni medie di Napoli e Monza in fase di non possesso durante il primo tempo; sopra, invece, un frame del Monza durante un’azione costruita dal basso. In entrambi i casi, il 4-2-3-1 difensivo della squadra di Spalletti è piuttosto visibile.

Zielinski, per altro autore di una grandissima prestazione, ha lavorato come marcatore a uomo di Barberis, il primo costruttore di gioco del Monza davanti alla difesa a tre. Come si vede nel campetto e nell’immagine in alto, Stroppa ha schierato la sua squadra con un 3-5-2/5-3-2 piuttosto scolastico, con un centrocampo a tre disposto e composto in modo classico: il già citato Barberis vertice basso, Sensi e Filippo Ranocchia mezzali. Il Napoli, come detto, è come se si fosse adattato a questa situazione, modulando la sua disposizione difensiva in modo da rispondere a questa situazione tattica. Il Monza è stato praticamente costretto a non passare più da Barberis, e anche in questo senso i numeri certificano questa dinamica: a fine partita, il calciatore in maglia rossa ad aver toccato più palloni – addirittura 94: più di chiunque altro, in entrambe le squadre – è stato Stefano Sensi. Non proprio un regista classico.

Questi numeri e queste evidenze tattiche sono la prosecuzione – per non dire la sublimazione – del lavoro che Spalletti sta conducendo da più di un anno: il Napoli è una squadra che ha un’identità di gioco chiara per non dire radicata, che ha dei riferimenti fissi per non dire storici. Ma che sa anche mutare al mutare delle situazioni intorno a sé. Che ha delle risorse per trasformarsi senza perdere in efficacia. Anzi, lo fa proprio per essere più efficace.

Zielinski ha ravvivato il 4-3-3

Piotr Zielinski ha avuto un ruolo importante anche in un’altra serie di dinamiche tattiche: quelle offensive, quelle che hanno permesso al Napoli di scardinare e poi di aprire il bunker arretrato del Monza. Dopo un inizio ad altissimo ritmo – addirittura 10 conclusioni tentate nel primo quarto d’ora di gara – che però non ha prodotto grandi risultati, il Napoli ha iniziato a muovere un po’ le sue pedine in campo in modo da manipolare la difesa del Monza. Il gol di Kvaratskhelia, per esempio, nasce da un’azione portata avanti sulla sinistra e poi rifinita dall’altra parte, in cui Zielinski e persino Anguissa sono andati a riempire – anzi: a sovraccaricare – uno spazio che, in teoria, non sarebbe stato di loro competenza: quello sulla fascia sinistra.

Tutta l’azione prima del bellissimo tiro a girare di Kvicha Kvaratskhelia

Quello di Anguissa è stato uno dei suoi – consueti – appoggi all’azione offensiva dovuti a una prestanza fisica fuori scala, alla capacità di coprire ampie porzioni di campo e poi rientrare a coprire in pochi istanti. Non a caso, viene da dire, il centrocampista camerunese si è spesso spostato anche nella posizione di esterno basso a destra in fase di impostazione, lasciando a Di Lorenzo lo spazio per avanzare sulla sua fascia. E alla fine della partita il suo dato dei palloni giocati, 81, era il più alto dell’intera squadra azzurra. Nel caso di Zielinski, invece, il suo movimento ad allargarsi sulla sinistra – per poi presentarsi al limite dell’area come rimorchio dell’azione – è stato più frequente, in pratica ha permesso a Kvaratskhelia di avere sempre uno scarico facile oltre a quello garantito da Mário Rui. Anche in questi casi, a parlare sono i dati:

In alto, tutti i palloni giocati da Anguissa: si noti la maggior distribuzione e la concentrazione sul centro-destra in fase di impostazione. Sopra, invece, tutti i palloni giocati da Zielinski: da qui è chiara la sua tendenza a muoversi soprattutto verso sinistra, verso la fascia di Kvaratskhelia.

Zielinski ha reso più fluido il 4-3-3, l’ha ravvivato deformandolo, ha offerto costantemente un appoggio – pure di qualità – tra le linee e in questo modo è stato decisivo. Si potrebbe e quindi si può parlare di 4-2-3-1 anche in fase offensiva, ma la verità è che il Napoli ha sempre oscillato tra due disposizioni in campo ogni volta che teneva la palla, proprio grazie ai movimenti della mezzala polacca. Movimenti che poi hanno prodotto giocate determinanti per il risultato: quello sul primo gol di Kvaratskhelia è un assist decisivo a tutti gli effetti, ma poi ci sono anche 6 passaggi chiave, quota record in campo, 2 dribbling riusciti. 3 falli subiti, 4 cross completati.

Insomma, Zielinski ha rappresentato una fonte di gioco sempre viva, sempre importante e impattante, soprattutto nell’economia di una partita in cui il Napoli ha avuto pochissime occasioni per attaccare a campo aperto, considerando la disposizione e l’atteggiamento del Monza. Anche se poi le cose sono cambiate dopo il gol di Kvaratskhelia.

Dopo il gol

Il gran tiro a girare di Kvaratskhelia ha stappato tatticamente il Napoli. Perché da quel punto in poi, incredibile ma vero, la squadra di Spalletti ha tenuto un possesso palla inferiore rispetto al Monza, anche solo leggermente: il dato grezzo rilevato da Whoscored dice che gli azzurri hanno giocato la sfera per il 48% del tempo di gioco tra il minuto 35′ e il fischio finale della partita.

È stata la scelta migliore, e basta riguardare il secondo gol di Kvaratskhelia per rendersene conto: in quest’azione, il Monza prova a costruire la manovra dal basso, ma il pressing ben organizzato e la successiva ripartenza fulminea in campo più o meno aperto permettono al Napoli di segnare in maniera addirittura comoda. Certo, poi servono intelligenza e qualità per confezionare un assist come quello di Lobotka e una sterzata con tiro immediato come quella dell’esterno georgiano, ma il punto è proprio questo: il Napoli di oggi è una squadra che possiede certe doti. Che sta imparando a sfruttarle. A gestirle. A tirarle fuori quando serve.

Il pressing come regista

Anche l’azione del gol di Osimhen, per quanto profondamente diversa nei suoi concetti di base e nel suo svolgimento, nasce dalla nuova configurazione tattica assunta dalla gara Napoli-Monza dopo la rete numero uno di Kvaratskhelia. La squadra di Stroppa, nel finale del primo tempo, ha cercato di alzare i ritmi del suo pressing su una costruzione bassa del Napoli. Basta contare il numero di calciatori in maglia rossa presenti nella metà campo avversaria nel momento in cui Rrahmani effettua il passaggio che dà il via alla manovra: sono addirittura sei. In cinque tocchi, però, gli azzurri risalgono ed espandono meravigliosamente il campo. E così determinano una situazione di tre contro tre in uno spazio molto aperto: la condizione migliore, anzi perfetta, per Victor Osimhen.

In questa sequenza, la giocata decisiva è senza alcun dubbio quella di Lobotka. Per tutta una serie di motivi: il suo appoggio verso Lozano viene effettuato in una situazione apparentemente scomoda, con due giocatori del Monza a presidiare – anche bene – le linee di passaggio; il pallone passa attraverso questi due avversari, tagliando in maniera netta i reparti avversari e quindi il loro pressing; la traiettoria del pallone premia un movimento atipico di Lozano, che solitamente ama allargare e allungare il campo mentre in questo caso era venuto a legare i reparti, era sceso verso il centrocampo per offrire una sponda alla manovra iper-verticale orchestrata dai suoi compagni.

Tutto bellissimo

Piccola chiosa su Lobotka: la sua prestazione a Verona era stata leggermente più dominante, eppure la precisione dei suoi 54 passaggi (percentuale del 96.3%), l’assist servito a Kvaratskhelia in occasione del terzo gol e la sua tendenza a muovere il pallone per risalire velocemente il campo – solo 4 dei suoi 54 passaggi sono finiti nel terzo di campo difensivo del Napoli, un rapporto ancora inferiore rispetto a quello fatto registrare contro l’Hellas – hanno avuto un impatto enorme sul gioco del Napoli.

È come se la forma fisica e la forma mentis del centromediano slovacco ispirassero e guidassero la squadra di Spalletti lungo quella che è la sua nuova strada: quella di un gioco che nasce in un campo piccolo e sa anche progredire in questo modo, ma che diventa devastante non appena questo campo piccolo finisce per dilatarsi. Non appena gli spazi si allungano e/o si allargano. E in questi spazi ci sono giocatori come Victor Osimhen, Hirving Lozano e soprattutto Kvicha Kvaratskhelia. Che, giusto per snocciolare qualche dato, ci ha messo solo due partite per segnare più gol su azione (3) di quanto abbia fatto Insigne in tutta l’intero campionato di Serie A 2021/22 (2). E che finora ha realizzato tre reti tutte diverse tra loro: la prima di testa, la seconda di destro, la terza di sinistro.

Lanciare il pallone per velocizzare il gioco

Il Napoli di oggi sa di avere dei giocatori – più giocatori rispetto allo scorso anno – che rendono al meglio quando il pallone viaggia più velocemente. Per esempio quando viene effettuato un lancio piuttosto che un appoggio basso e ravvicinato, e allora la difesa avversaria può essere colta maggiormente di sorpresa. In questo senso, il dato sui passaggi lunghi è indicativo: i giocatori del Napoli hanno tentato per 41 volte il lancio lungo, contro le 29 del Monza; i giocatori più attivi in questo senso sono stati i cinque componenti del pacchetto difensivo, ovvero Mário Rui con 7, Rrahmani con 6, Meret, Di Lorenzo e Kim Min-jae con 4.

È un dato significativo, e non solo perché dimostra che il Napoli – così come qualsiasi altra squadra – possa dominare le partite senza tenere il pallone sempre basso, sempre in possesso, ma anche perché evidenzia come la presenza e i movimenti e le tendenze di Osimhen, Lozano e Kvaratskhelia abbiano già avuto un impatto forte sulla squadra. Sul gioco dei loro compagni. Che ora, rispetto al passato, hanno delle opzioni in più per cambiare modo di attaccare. Con Insigne, Mertens e Callejón, viste le loro misure fisiche, provare un’altra strada era una scommessa difficile da vincere. Se non addirittura persa in partenza.

Ora ci sono meno movimenti e appoggi tra le linee, magari assistiamo a qualche stop sbagliato in più. A qualche azione che sembra nascere e svilupparsi in maniera più casuale. Ma la realtà è che Spalletti sta dando alla squadra nuovi strumenti con cui velocizzare il gioco nel momento in cui occorre, per attaccare in maniera differente quando l’intensità e/o il possesso palla dominante non riescono a scardinare le resistenze avversarie. In attesa dell’inserimento dei nuovi acquisti.

Conclusioni

Quest’ultimo aspetto ha un peso importante, anche se tacito, nell’analisi tattica che avete appena letto: Napoli-Monza, anche per la consistenza e il valore dell’avversario di giornata, ha rappresentato un test. Anzi: un pre-esame. In futuro, infatti, la squadra di Spalletti potrebbe – dovrebbe, dovrà – scendere in campo con un sistema e delle spaziature e dei calciatori diversi. Con due punte come Osimhen e Raspadori in un 4-2-3-1 molto offensivo. Oppure con il nigeriano accanto a Simeone in un 4-4-2 puro e ancora più spregiudicato. Il ruolo e i compiti di Zielinski potrebbero essere trasferiti a giocatori con caratteristiche diverse, più verticali, più offensive, e allora la difesa dovrà essere pronta ad accorciare, a venire ancora più in avanti. Oppure a rinculare, a compattarsi, aiutandosi magari con Ndombélé. Con il Monza è successo proprio questo, e anche questo dato sembra inverosimile, se non fosse che è certificato:

 

Nella grafica in alto, vediamo come il Napoli e il Monza abbiano posizionato il loro baricentro ad altezze simili in fase di non possesso; nella grafica appena sopra, invece, si vede che la squadra di Stroppa, nella ripresa ha tenuto addirittura un baricentro più alto rispetto a quella di Spalletti.

Sta nascendo un Napoli sempre più camaleontico, sempre più istrionico. Sempre più pronto a manipolare sé stesso così da non dare riferimenti fissi agli avversari. Certo, la forza di Osimhen, Lozano e Kvaratskhelia è apparsa troppo straripante perché Spalletti decida di rinunciarvi per pura scelta tecnica, ma è vero pure che uno di questi giocatori, o magari tutti, saranno assenti in qualche partita. Oppure non basteranno a vincere le resistenze di una o più squadre avversarie. Il Napoli, a quel punto, dovrà avere gli strumenti per cambiare ancora senza stravolgersi troppo, per poter supportare l’inserimento dei vari Simeone, Ndombélé, Raspadori. Perché questi calciatori possano entrare in campo senza sentirsi fuori contesto. La vittoria contro il Monza, per il modo in cui è arrivata, ci ha detto che tutto questo è possibile. Che Spalletti ha già iniziato a lavorarci, perché questo possibile diventi realtà. 

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