Il nuotatore paralimpico a La Repubblica: «Ho cominciato a 10 giorni e finito a 12 anni. Con il tempo l’odore del cloro ha allontanato quello dell’anestetico»
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Su La Repubblica un’intervista al nuotatore Simone Barlaam. Ha una deformazione dell’anca e un’ipoplasia congenita del femore destro. Ha vinto un oro alle Paralimpiadi di Tokyo e 13 ai Mondiali.
«Adesso ho raggiunto quota 13 medaglie d’oro, battendo il numero di interventi chirurgici che ho subito: dodici… una bella soddisfazione».
Racconta la sua odissea.
«E’ cominciata quando avevo 10 giorni di vita ed è terminata a dodici anni. Era necessaria per la deformazione dell’anca e l’ipoplasia congenita del femore destro. I primi ricordi sono di quell’odore insopportabile di anestetico nella mascherina. Una volta ho chiesto ai medici di non fare l’anestesia orale, ma con l’iniezione, però quando mi stavo addormentando ho sentito di nuovo la mascherina, volevo dimenarmi ma non ci sono riuscito. Questa ansia da sala operatoria me la porto dietro ancora adesso. Anche se col tempo l’odore del cloro ha allontanato quello dell’anestetico».
A Tokyo 2020 ha vinto i 50 stile, più 2 argenti e 1 bronzo, ma non è mai sembrato troppo soddisfatto.
«Infatti ho perso il sorriso per preparare i Giochi. Ho fatto vita monastica, non vedevo i familiari e gli amici, solo online. Ero talmente preoccupato di fare bene, che ho perso il senso del divertimento per andare dietro alla maniacalità. La vita da eremita non mi ha fatto bene. È stata la cosa peggiore dopo il periodo buio che è stato il Covid: perdita di relazioni, amorose e non, pensieri che circolavano nella testa. Nuoto- mangio-dormo, una routine ripetitiva».
Come ne è uscito?
«Ne ho parlato con Michela Fantoni, psicologa che lavora anche col Milan. Riuscire ad ammettere le debolezze, parlare col cuore, ti può anche riempire di orgoglio, se sei un atleta abituato a dover essere sempre al top. Il cervello comanda: se il corpo sta bene e la testa no, non basta, se la testa sta bene e il corpo un po’ meno, è sempre la testa a decidere. Poi ho cambiato schema. Ora mi alleno con un gruppo nuovo, una squadra agonistica di normodotati al centro sportivo della Bocconi. Coi miei coetanei sento meno pressioni, ho ritrovato l’amore per l’acqua. Senza più
impazzire».