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Massimo Ciavarro: «Senza la bellezza non avrei potuto fare ciò che ho fatto, ma non mi piace apparire»

A La Stampa: «Recitare mi ha sempre messo ansia. Mi sono fermato perché avevo scelto di vivere in campagna, avevo l’orto a cui pensare».

Massimo Ciavarro: «Senza la bellezza non avrei potuto fare ciò che ho fatto, ma non mi piace apparire»

La Stampa intervista Massimo Ciavarro. Rivela che il cinema gli ha messo sempre molta ansia.

«Mi ha sempre messo un’ansia spaventosa, non mi è mai piaciuto apparire e poi sui set si fa tutto di corsa, e poi non mi piacciono quei registi sempre incazzati, quelli convinti di star facendo chissà che. Forse per questo reagisco diventando chiuso, timido. Quando mi hanno offerto i primi ruoli in due film mi veniva da rispondere “ma che siete impazziti?”».

Racconta come ha iniziato a recitare.

«Ero iscritto a Legge, avevo fatto 7- 8 esami, ma avevo capito che non mi piaceva e che non mi andava di continuare, non so nemmeno bene perché. Facevo già da un po’ i fotoromanzi, qualcuno mi consigliò di iscrivermi a una scuola di recitazione, a Roma ce n’era una che si chiamava La Scaletta, le mie compagne di corso erano Moana Pozzi e Margherita Buy. Ci andai per poco, mi arrivò quasi subito, grazie al press agent Enrico Lucherini, l’offerta di recitare nel film Vai alla grande di Salvatore Samperi. In quel periodo uscì il primo Sapore di mare, i Vanzina iniziavano a preparare il numero due e mi chiamarono».

Per le donne certe volte la bellezza può diventare un handicap. E’ successo anche a lei?

«E’ una caratteristica che mi ha dato molto, sono grato per questo, se non l’avessi avuta non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto. L’unica cosa che mi pesa, oggi, in questi ultimi anni, è la mania delle foto rubate, non dei selfie, che faccio sempre, con tutti, ma dei video e degli scatti fatti a tradimento da persone a cui vorrei dire “guarda che non sei alla zoo”. Ecco quelle cose lì le odio».

Una volta che la carriera era avviata, cosa l’ha spinta a fermarsi?

«Mentre giravo E non se ne vogliono andare, con Virna Lisi, successe che Turi Ferro, anche lui nel film tv, mi chiamasse per propormi il ruolo da protagonista nella versione teatrale del Bell’Antonio. Porca miseria, un’occasione pazzesca, io però ho detto di no, era l’epoca in cui avevo scelto di vivere in campagna, con Eleonora Giorgi, non mi andava di imbarcarmi in quell’avventura. Nello stesso periodo Roger Vadim mi aveva chiesto di recitare in un suo film in Francia, ma gli ho risposto di no, avevo l’orto a cui pensare, l’azienda agricola da seguire».

Poi però il teatro l’ha fatto. Come è andata?

«Sì, tre anni fa, e mi è piaciuto tutto moltissimo. Mi ha convinto Massimo Ghini, forse l’unico vero amico che ho in questo ambiente, doveva mettere in scena il testo di Florian Zeller Un’ora di tranquillità, è venuto fino a Lampedusa per dirmi che dovevo assolutamente accettare. Il primo giorno avevo un’ansia tremenda, poi è andato tutto benissimo. E’ come se finalmente mi fossi sbloccato. Il teatro è diverso dal cinema, mi sono trovato bene, anche nelle tournée, nell’emozione prima di andare in scena, nel fatto che ogni sera puoi essere diverso».

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