«Quando si congedò da ct il Coni regalò a Bearzot una penna senza pennino»
L'avvocato delle star, Giorgio Assumma, al Venerdì: «Sordi era oculato, non tirchio. Il Campus Biomedico di Roma nasce grazie a un suo lascito»

Il Venerdì di Repubblica intervista l’avvocato Giorgio Assumma. Oggi ha 87 anni, ha uno studio dietro la Rai, è stato per una vita il legale di tante star del cinema e della canzone. Tra i suoi assistiti c’erano Pino Daniele, Enzo Bearzot, Claudio Baglioni, Renzo Arbore, Ennio Morricone .
«Quando litigavano con le mogli o con le compagne si rifugiavano da me».
Chi?
«Non glielo dico. Però Pino Daniele preferì dormire da me dopo un’operazione delicata. Claudio Baglioni si ruppe il labbro in un incidente e per un po’ decise di non farsi vedere in giro, così venne nella mia casa in campagna».
Il più simpatico era Renato Zero, dice, mentre smentisce la leggenda secondo cui Alberto Sordi era un avaro.
«Era oculato, non tirchio. Il Campus Biomedico di Roma nasce grazie a un suo lascito. Ogni mese faceva recapitare una busta a un collega indigente. Un pomeriggio mi trovai in un istituto di bambini poveri gestito dalle suore e chiesi loro perché tenessero la foto di Alberto alla parete: “Tutto questo è merito suo”, risposero».
Sempre su Sordi:
«Non si fece mai mancare le donne, ma accanto a sé volle solo sua sorella Aurelia, che visse per lui, rinunciando anche agli amori».
Lei ha assistito anche Renzo Arbore.
«Mi raccontò che sua madre ospitava una modista che da Bologna raggiungeva la Puglia per proporre alle signore di Foggia i cappelli che disegnava. Portò con sé il figlio, che però faceva i capricci. La madre allora disse a Renzo di andare a prendergli un gelato. Tanti anni dopo, a Roma, quel bambino, ormai uomo fatto, avvicinò Renzo: “Buonasera, sono Lucio Dalla”».
Su Pippo Baudo:
«Baudo è un genio. La Rai lo dovrebbe coinvolgere ancora. Facciamo spesso delle sfide intellettuali e non lo trovo mai impreparato».
Assumma è stato anche l’avvocato di Enzo Bearzot. Racconta come fu contattato dall’ex ct della Nazionale.
«Mi chiamò lui spaventatissimo, perché era stato citato come testimone nell’inchiesta sui presunti fondi neri agli azzurri che avevano vinto il Mundial 1982. Andai a Milano, lo tranquillizzai, ma quando entrò dal magistrato era pallido come un cencio; quando uscì disse: “Questo giudice capisce di calcio più di me”».
Com’era Bearzot?
«Onestissimo. Mi chiese di accompagnarlo al Coni per la festa di congedo da ct, nel 1986. Gli regalarono una penna. Uscendo la diede a me: “La conservi lei”. Quando arrivai a casa la tolsi dall’astuccio e vidi che mancava il pennino».
Lei ha scritto anche il necrologio di Morricone.
«No, l’ha scritto lui: “Io, Ennio Morricone, sono morto”. Io l’ho solo diffuso».
Eravate molto legati.
«Un giorno Ennio fu chiamato a rendere una testimonianza in tribunale, a Roma. Gli dissi di aspettarmi all’ingresso, che lo avrei raggiunto lì, finita la mia udienza, perché là dentro si sarebbe perso. Nel frattempo scoppiò un temporale mondiale. Uscii per andarlo cercare e Morricone era fermo laddove gli avevo chiesto di aspettarmi: tutto inzuppato».