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Non c’è nulla di male nell’essere contenti che Insigne non giocherà più nel Napoli

Ottima carriera, ha finito con l’incarnare l’immobilismo del Napoli. Doveva finire già tre anni fa, è finita oggi (grazie a lui, altrimenti sarebbe rimasto)

Non c’è nulla di male nell’essere contenti che Insigne non giocherà più nel Napoli
Napoli 15/05/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Image Sport nella foto: Lorenzo Insigne

Non è lesa maestà né irriconoscenza tirare un sospiro di sollievo perché Insigne sta andando via dal Napoli. In una tifoseria in cui non pochi considerano Ancelotti fortunato o non adeguato, ci sembra che ci sia ampio spazio dialettico per coloro i quali proprio non ce l’hanno fatta a innamorarsi del 24. Che alla fine della fiera ci sembra un buon giocatore che ha fatto un’ottima carriera. Dotato di eccellente tecnica di base, soprattutto nello stop, sfavorito dalla struttura fisica, può esibire con orgoglio le sue 54 presenze in Nazionale (Juliano, per dirne una, si è fermato a 18) dove gli hanno assegnato persino la maglia numero dieci.

Insigne il suo l’ha fatto. Anche molto più del suo. Ha segnato 122 gol in maglia azzurra, meglio di lui solo Mertens. Può guardarsi alle spalle con soddisfazione. Probabilmente è stato condannato da questo storytelling che finisce per l’essere una dannazione: il napoletano che gioca nel Napoli. Lui deve obbligatoriamente fare sfracelli e tu tifoso sei costretto ad amarlo. Ha a nostro avviso incarnato perfettamente il Napoli di questo decennio. Una buona squadra, con buoni/ottimi giocatori (il più forte di tutti, per distacco, è stato Edinson Cavani andato via dieci anni fa), capace di raggiungere picchi vertiginosi, di essere costantemente ai vertici (e non è affatto poco), cui è mancato sempre il successo della consacrazione.

Non si può attribuire a Insigne la colpa di non essere diventato un calciatore in grado di fare la differenza. E non possiamo certo condannarlo perché il presidente ha preferito lui a Ibrahimovic. È stato a suo modo vittima della sindrome Jessica Rabbit: lo hanno disegnato così. Ha finito col diventare il simbolo dell’immobilismo del Napoli. Il suo ruolo è stato ingigantito dalla mancanza di coraggio di altri. In fondo si deve a lui e soltanto a lui se quella di oggi è stata la sua penultima partita in Serie A con la maglia del Napoli. Perché De Laurentiis un’offerta congrua (3/3,5 milioni netti a stagione) gliel’aveva presentata. Non ci saremmo mai liberati di lui se avesse accettato. Invece ha scelto Toronto. Una decisione sacrosanta dal punto di vista economico-finanziario e che probabilmente qualcosa dice sulla considerazione che ha di sé. Va a giocare in un campionato decisamente meno competitivo, a soli 31 anni.

Se fosse riuscito a liberarsi della sua mattonella e della coperta di Linus, forse avrebbe strappato un discreto contratto anche in Europa. Non ce l’ha fatta e possiamo solo prenderne atto. I ricordi più belli sono legati agli inizi. Il gol al Cagliari nei minuti finali, con in panchina ancora Mazzarri. Quella punizione al Borussia Dortmund che fu la madre di tutte le illusioni. Lo straordinario primo tempo giocato contro la Roma quando in panchina c’era Benitez. La domenica successiva si ruppe il legamento a Firenze. Altri momenti entusiasmanti ci sono stati: in Europa, soprattutto, ricordiamo il gol al Bernabeu, quello a Parigi e al Liverpool, tante altre reti molto belle. Tutto circoscritto nei fisiologici limiti del calciatore.

Avremmo preferito che quest’addio fosse avvenuto tre anni fa, o al massimo due. Certamente dopo quella pagina vergognosa che è stata l’ammutinamento metabolizzato invece come se nulla fosse accaduto. Sarebbe stata una scelta presa dalla società in nome di una visione, di una progettualità. Non è andata così. È stato Insigne ad andare via assecondando una sacrosanta e condivisibile ambizione economica. Se fosse riuscita ad averla anche in campo, nel tentativo di superare le proprie Colonne d’Ercole, sarebbe stata un’altra storia. Ma non possiamo condannarlo per i suoi limiti. Né, allo stesso tempo, qualcuno può incolpare coloro i quali sono contenti che non giocherà più nel Napoli.

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