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Il film sulla Coppa Davis del 76 mostra un’Italia così distante dal perbenismo e dal politically correct

Il console italiano mandato a quel paese dopo la rissa a Barcellona, Modugno contro la spedizione in Cile, l’appartamento di Panatta e Bertolucci dove erano di casa Arbore e Boncompagni

Il film sulla Coppa Davis del 76 mostra un’Italia così distante dal perbenismo e dal politically correct

Cosa dev’essere stato quell’appartamento di cinquanta metri quadri, al quartiere Fleming, preso in affitto dalla coppia Panatta e Bertolucci. “Lui era il grande chef – racconta Paolone da Forte dei Marmi – io rassettavo e facevo la spesa”. “Quelle casa era spesso frequentata da quelli di Alto Gradimento, Arbore, Boncompagni, Marenco”. E quell’immagine radiofonica sullo sfondo racconta di un tempo che oggi sembra lontano anni luce quando la provocazione continua era sinonimo di intelligenza e non un pericoloso elemento destabilizzatore.

È un’Italia lontana, irripetibile, quella che racconta Domenico Procacci ne “Una squadra” versione cinematografica della serie tv che andrà in onda su Sky. Racconta le gesta della nazionale italiana di tennis che vinse la Coppa in Davis in Cile nel 76.

L’impegno politico era il pane quotidiano, al pari dell’insopportabile ipocrisia buonista che regna oggi in questa Italia che si è gravemente ammalata di perbenismo e politicamente corretto. Non c’era la dittatura dei like, la ricerca del consenso era dei politici e basta. L’omologazione non abitava quei tempi. La storia è arcinota. L’Italia doveva giocare la finale nel Cile di Pinochet e l’opposizione fu forte. Il Pci e parte dell’opinione pubblica non volevano andare a giocare in un Paese a regime fascista. Un artista come Domenico Modugno – non c’è un attuale equivalente di Modugno – arrivò a scrivere una ballata contro la spedizione azzurra.

La sorte della Coppa è controversa
c’è chi vuol che si vada e viceversa
io sono per no anche se poi
sono sportivo come tutti voi

Ma purtroppo per il tennis
e per la Coppa Davis
un solo guaio c’è
un solo guaio c’è
e si chiama Pinochet.

D’accordo che ci piace l’insalata
e che l’insalatiera è alla portata
ma non mischiamo con faciloneria
la dittatura alla democrazia.

L’incontro Italia-Cile è solo una partita
che vincere potremo se resteremo qua.
Ma che facciamo? Andiamo da quel fascista
e gli diciam “Señor, hasta la vista!”

e poi prendendo in mano la racchetta
dimentichiamo tutto così in fretta.
Non si giocano volée
con il boia Pinochet.

Poi il Pci cambiò idea, su indicazione dei comunisti cileni, e si partì.

“Una squadra” è un documentario storico, sociale, attraverso i protagonisti di quell’avventura. I quattro tennisti: Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, e il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli. Come tutte le squadre che si rispettano, era divisa al proprio interno. Due clan contrapposti, modi diversi di vedere la vita. Poi si va in campo per uno stesso obiettivo.

I gaudenti Panatta e Bertolucci e gli introversi Barazzutti e Zugarelli. I settimanali dell’epoca – in Italia si leggeva – con le foto di Adriano accusato di fare la dolce vita. La rissa a Barcellona quando, spazientito da insulti di ogni tipo e persino da un colpo alla testa, Panatta si buttò sugli spalti a menare cazzotti. Con Guido Oddo che in telecronaca affermò: «Ci dicono di dire che è stata una vergogna ma crediamo di averlo detto a sufficienza». Cinquant’anni fa le telecronache ambivano a essere imparziali, non come oggi che ci si indigna per insufficiente partigianeria. Il console italiano in Spagna che va negli spogliatoio a manifestare il proprio disappunto per l’accaduto e Zugarelli che gli dice: “Se non te ne vai, menamo pure a te”.

«Ci divertivamo a giocare a tennis, mi suona strano dire che eravamo professionisti. Avevamo la possibilità di girare il mondo, di fare esperienze impensabili per i giovani della nostra età», racconta Panatta. L’invenzione del calcio-tennis (“Bertolucci si impegnava molto di più nel calcio-tennis che nelle partite vere”). E proprio giocando con i piedi Bertolucci si infortunò in Polonia. Il racconto dell’effetto collaterale del priapismo di Paolone. Il doppio con Barazzautti. Gli screzi Zugarelli-Pietrangeli. Il fondamentale ruolo di Mario Belardinelli.

Non c’era la pay-tv, a stento c’era la tv. Quella squadra rese il tennis uno sport popolare. Non c’è alcuna banalizzazione del regime di Pinochet, anzi. La diatriba sulla maglietta rossa con cui Panatta e Bertolucci giocarono il doppio decisivo. Per Pietrangeli e Zugarelli non fu una provocazione politica. Eccellente il lavoro documentaristico di Procacci che scova anche l’audio-libro di Mario Giobbe su quella vittoria.

Qualcuno ci ritroverà la propria infanzia, le lunghe partite viste in tv col papà. Furono i primi supereroi, con la fila di lato nel caso di Panatta. Soprattutto è un tuffo in una dimensione che sembra preistorica. È arduo dire un’Italia più leggera visto che erano gli anni di piombo. Un’Italia alla scoperta, decisamente meno stanca e paludata. È un “Come eravamo” con la colonna sonora di Mauro Pagani.

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