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Fagioli: «Se la Juve vuole fare un percorso assieme sono disponibile, ma i giovani devono giocare»

A Sportweek: «Ronaldo mi è stato molto vicino quando ho dovuto operarmi al cuore. Alla cremonese ho dovuto imparare a rispettare il gruppo»  

Fagioli: «Se la Juve vuole fare un percorso assieme sono disponibile, ma i giovani devono giocare»

Su Sportweek un’intervista a Nicolò Fagioli. Ha 21 anni, con i suoi 3 gol e 7 assist ha contribuito a riportare la in Serie A. E’ sotto contratto con la Juventus fino al 2023, a luglio tornerà dai bianconeri e cercherà di capire cosa accadrà dopo. Ma le idee sono già chiare.

«Tifo Juve da bambino e per me sarebbe un sogno vestire quella maglia, ma devo capire bene che intenzioni hanno con me. Se hanno in mente un percorso da fare insieme, io sono dispostissimo a condividerlo. Ma i giovani devono giocare. Dove, se in una grande o in una piccola, non lo so. Vedo però che in Italia le cose stanno cambiando, anche Mancini non si fa problemi a chiamarli in Nazionale. Ripeto: se sono forti, i giovani devono giocare. E, sì, io mi sento pronto per la Serie A».

Con Allegri non ha mai giocato in partite ufficiali. La prima volta è stata con Pirlo.

«In realtà avrei dovuto esordire nelle ultime due-tre gare, a scudetto vinto, ma ebbi un problema al cuore per il quale venni operato e saltò tutto. Un’aritmia. Ronaldo, che da ragazzo aveva sofferto della stessa cosa, mi è stato molto vicino, consigliandomi dove operarmi, al Pinna Pintor di Torino e cosa fare per recuperare facendo tutto per bene. Avevo visto Cristiano per la prima volta dal vivo la sera del suo gol in rovesciata in Juve-Real di Champions, allo stadio. Al mio compagno delle Giovanili che mi sedeva vicino, dissi: “Pensa se uno così ce lo ritrovassimo qui l’anno prossimo”. Quando, qualche mese dopo, me lo ritrovai addirittura vicino di armadietto, non riuscii ad aprire bocca.
Non sapevo cosa dirgli».

Sulla stagione appena finita, con la Cremonese.

«Per me era il primo, vero anno nel calcio dei grandi e ho dovuto adattarmi a gente con tanti più anni rispetto a me e a un campionato più intenso di quelli cui ero abituato. All’inizio è stata dura, poi, piano piano, mi sono adeguato».

Spiega quali sono le difficoltà incontrate con i compagni di squadra più grandi.

«Quelle incontrate fuori, più che dentro al campo. Ho dovuto imparare a rispettare il gruppo, a trovare il mio posto nello spogliatoio, ad accettare le decisioni di quelli che stavano lì da tanto».

Un’esperienza che lo ha fatto crescere.

«Oggi sono più sicuro di me, più pronto a livello fisico, capace di stare più di prima con la testa sul campo e di restare concentrato anche partendo dalla panchina, perché quest’anno mi è capitato, di partire dalla panchina».

Il difetto peggiore in campo?

«Staccare ogni tanto la testa dalla partita. Il problema è che mi succede di perdermi dietro cose senza importanza o che comunque sono già andate. Tipo: sbaglio un passaggio e continuo a pensarci. Mi estraneo e intanto il gioco va avanti, col rischio di non prendere palla per qualche minuto o di sbagliare di nuovo perché sto ancora rimuginando sull’errore precedente».

Su Pecchia:

«Mi ha dato fiducia e sicurezza. Quando ho sbagliato qualche allenamento mi ha subito chiamato nel suo ufficio, dicendomi: “Così non ti devi allenare, se no con me non giochi”. E infatti la partita dopo mi metteva in panchina. È stata una lezione che mi servirà in futuro».

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