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Bordin: «Fu una “fortuna” ammalarmi a Napoli, i napoletani mi diedero la forza per affrontare il tumore»

Al CorSport: «Sacchi mi ha insegnato la cura di ogni movimento, Lippi un vero motivatore, Boskov un istrione: gli bastava una battuta per farti ragionare»

Bordin: «Fu una “fortuna” ammalarmi a Napoli, i napoletani mi diedero la forza per affrontare il tumore»

Nel giorno di Atalanta-Napoli, il Corriere dello Sport intervista un ex di entrambe le squadre, Roberto Bordin. Fu all’Atalanta dal 1989 al 1993 e al Napoli nei quattro anni seguenti.

«Sono due club che mi hanno dato tanto, entrambi. Mi hanno consentito di giocare a grandi livelli, assaporare l’atmosfera delle coppe europee, affrontare grandissimi avversari. Non sono in grado di fare distinzioni per quanto riguarda la mia appartenenza all’una o all’altra maglia. La cosa che mi piace sottolineare è che sia a Bergamo che a Napoli i tifosi hanno capito che tipo di giocatore ero e che uomo sono: uno tignoso, che non molla mai. Sapevano che avrei dato sempre il massimo, che nella battaglia non mi tiravo ma indietro. A Bergamo c’era già Percassi, uomo quadrato, razionale, che ragionava secondo una sana logica aziendale e di programmazione».

Sul Napoli:

«Di Napoli ricordo l’ambiente eccezionale, l’orgoglio di giocare in un club che voleva rilanciare le sue ambizioni di grande piazza dopo aver vissuto un’era irripetibile pochi anni prima».

Nel pieno della sua carriera, mentre giocava nel Napoli, dovette abbandonare il calcio per un tumore alla tiroide.

«Col senno di poi, visto che è andato tutto bene, posso dire che è stata una “fortuna” ammalarmi a Napoli: i napoletani mi hanno dato forza, calore, entusiasmo per affrontare quella battaglia. È uno dei motivi, forse il più importante, per i quali non finirò mai di ringraziarli. Assistito dal dottor Russo, che era il medico del Napoli, ho voluto dare io la notizia, personalmente, per far cessare sul nascere ogni tipo di voce o illazione».

Ricorda gli allenatori con cui ha lavorato. Sacchi, ad esempio.

«Era un astro nascente, con una metodologia di lavoro futuribile, per l’epoca. Mi ha insegnato il gioco a zona, in primis, ma, più di ogni altra cosa, mi ha insegnato, da perfezionista qual era, la cura di ogni movimento con e senza palla, nella preparazione di una partita».

E poi Lippi, avuto sia a Bergamo che a Napoli.

«Con lui c’è stato subito un grande rapporto, sia a livello personale che di gruppo. Anche quando mancavano i risultati, o addirittura si vociferava di un esonero, il gruppo non lo ha mai mollato, lo ha sempre seguito, perché è un grande motivatore, uno che ha sempre saputo ascoltare la squadra. A parte la cura nel preparare le partite, ti faceva sentire protagonista anche per quell’aspetto ed era naturale dare tutto per lui. A Napoli ebbe anche il coraggio delle scelte, buttando dentro un po’ di giovani e mettendo da parte qualche senatore».

E poi Boskov.

«Un autentico istrione, uno al quale bastavano poche parole, spesso sotto forma di battuta, per farti ragionare».

 

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