Binotto: «Se non fossi entrato in Ferrari avrei fatto il falegname. Sento la fiducia di Elkann»

Al CorSera: «Vedo fame, la voglia di vincere, riportare la Ferrari a essere un modello. Leclerc? Ha le spalle larghe. Se va in testa è dura superarlo»

Binotto Ferrari

Budapest (Ungheria) 01/08/2021 - gara F1 / foto Press Office Scuderia Ferrari/Image Sport nella foto: Mattia Binotto

Il Corriere della Sera intervista il team principal della Ferrari, Mattia Binotto.

«Vedo fame, non soltanto la voglia di vincere singoli Gp o un titolo. Molto di più. Riportare la Ferrari a essere un modello perla F1, per gli avversari. Rappresentare un modello, questo significa “Essere Ferrari”: alimentare il mito del Cavallino essendo un riferimento in ogni campo».

Soprattutto, «c’è una gran voglia di crescere». Le sconfitte hanno aiutato.

«La sconfitta serve a fare passi indietro per andare avanti. Insegna a non disunirsi e a investire in tecnologie, uomini e “cultura”: individuare i punti deboli e correggerli. Lo abbiamo fatto negli ultimi 2-3 anni, è stato un percorso lungo».

Mai pensato di mollare, dice.

«Mai. Sono troppo testone. E sono anche consapevole di non essere l’unico responsabile dei successi o degli insuccessi. Siamo una squadra e mi sento uno dei tanti elementi. Abbiamo reagito tutti insieme, siamo sempre rimasti uniti. E questo mi ha dato la spinta».

Gli chiedono se sente la fiducia del presidente John Elkann e dell’amministratore delegato Benedetto Vigna.

«Sì, altrimenti non sarei qui a parlare con lei. Con loro ho rapporti di fiducia e trasparenza».

Dov’è la forza di Leclerc?

«Ha le spalle larghe, occupa tutta la pista. Se va in testa è dura superarlo: è un mago del corpo a corpo».

E quella di Sainz?

«Studia. È un pilota veloce al quale piace analizzare i dati. Sa adattarsi e crescere, ha bisogno di più tempo. Ma poi arriva anche lui».

Quale è stato il momento in cui ha capito di avere una Ferrari in grado di vincere?

«Dai dati si intuiva. Dopo il primo giorno dei test a Barcellona ho avuto la conferma. A volte basta un solo “run”: se il pilota sorride capisci che la macchina è nata bene. Mi hanno insegnato così, ed è vero».

Se non fosse diventato team principal in F1, che cosa le sarebbe piaciuto fare?

«Il falegname».

Correlate