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Gazzi: «I tifosi vedono solo se giochiamo bene o male, ma nel calcio ciò che conta è l’aspetto emozionale»

L’ex Torino, autore di un libro autobiografico, a Repubblica: «Non sanno del tumulto o dello stato di grazia che ci attraversa. Scrivo per raccontarlo».

Gazzi: «I tifosi vedono solo se giochiamo bene o male, ma nel calcio ciò che conta è l’aspetto emozionale»
As Roma 23/10/2016 - campionato di calcio serie A / Roma-Palermo / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Alessandro Gazzi

Repubblica intervista Alessandro Gazzi, ex centrocampista del Torino oggi collaboratore del tecnico Longo all’Alessandria, autore del libro autobiografico “Un lavoro da mediano. Ansia, sudore e Serie A”, in cui racconta venti anni di carriera nel massimo campionato (qui un’intervista a Gazzi firmata da Stefano Campolo per il Napolista, di qualche settimana fa).

La passione per la scrittura lo accompagna da tempo. Ha un blog, da cui è nato il libro, scrive recensioni per la rivista
L’Indice e aveva già pubblicato “Dieci minuti”, un racconto inserito in un’antologia di racconti sportivi della casa editrice 66thand2nd, la stessa che adesso ha pubblicato il suo libro.

«Lo so che non è niente di speciale, ma ho scritto per condividere quello che si prova a stare in campo. Lì dentro ti attraversano emozioni estreme, sei talmente concentrato, un tutt’uno con quello che fai, che poi viene facile descriverle come fossero un film».

E ne parla di cosa si prova in campo.

«L’aspetto emozionale è quello principale, nel calcio. Sembra tutto così scontato, per lo spettatore: ti vede giocare bene o male e non sa del tumulto o dello stato di grazia che magari ci attraversa quel giorno».

Una passione, quella per la scrittura, che purtroppo non condivide con molti compagni.

«Ogni tanto ne ho parlato con i compagni, ma non ho mai avuto grandi riscontri. Leggere non è proprio una delle attività più diffuse, ma non solo nel nostro ambiente: mi sembra sia così un po’ dappertutto, in Italia».

Si definisce un lettore più che uno scrittore.

«Non sono uno scrittore, sono un lettore. Ho sempre letto molto, qualcosa ogni giorno, di ogni genere, libri, riviste, saggi. È leggere che mi ha dato un’idea di come scrivere, non ho conoscenze in ambito letterario o semiotico, quelli sono studi di decenni fa, quando mi ero iscritto al Dams. Ma la lettura mi ha aiutato a costruirmi un background lessicale e grammaticale che mi è servito perlomeno a scrivere periodi che abbiano un senso. Mi basta che non passi l’idea che ho un ghostwriter: ho solo raccontato la storia di uno come tanti, ma l’ho scritta di mio pugno».

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