Zoff: «Ricordo quando io e Capello uscimmo da un locale all’alba, la gente andava a lavorare, che vergogna»
A Sette: «I bambini dovrebbero sentirsi liberi di giocare a calcio, senza le pressioni dei genitori che fanno loro solo del male. La fortuna? Non esiste, nel calcio e nella vita»

Db Pescara 11/10/2011 - qualificazione Euro 2012 / Italia-Irlanda del Nord / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dino Zoff
Su Sette un’intervista a Dino Zoff. Il tema è lo spareggio Mondiale a cui è attesa l’Italia di Roberto Mancini. Un sorteggio non proprio fortunato, quello toccato agli azzurri.
«La fortuna non esiste. Il calcio è così, la vita è così. L’importante è non darsi mai né per vinti né per vincenti: devi giocare e basta, dando il massimo».
Nutre fiducia nella possibilità che il gruppo ritrovi la mentalità giusta. Certo, dice, il problema dell’attaccante è un falso problema.
«Basta con questa storia. Ma l’avete visto Ciro Immobile? È un centravanti fortissimo, che segna in continuazione da anni, in tutti i modi: di destro, di sinistro, di testa. Cosa deve fare di più? E noi saremmo senza attaccante? Ma per favore. La verità è che siamo un popolo fatto così, amiamo la polemica. E a volte ci facciamo male da soli».
Zoff concorda con Altobelli: ai ragazzi di oggi manca la strada, il campetto.
«Ha ragione Spillo. Manca l’oratorio. Oggi i campetti mi sembrano tutti chiusi a chiave. Per entrarci devi pagare. E quando paghi poi le cose cambiano, salta la legge del campo dove il più forte vince. E dove tutti migliorano. Al campetto siamo cresciuti tutti, magari con un parroco che ti levava il pallone se non andavi a messa».
Sulle scuole calcio di oggi:
«Con tecnici bravissimi, che ti insegnano a stoppare la palla di piatto o col collo del piede. Non sono un nostalgico, non lo sono mai stato, credo che ognuno sia figlio della propria epoca. E per fortuna, aggiungo. Non è vero che una volta tutto era meglio, non scherziamo. Però ci sono alcune cose che andrebbero tenute in maggiore considerazione, come l’educazione alla creatività dei piccoli calciatori. Devono essere liberi di giocare, devono sentirsi liberi. Senza genitori che pretendono di avere figli campioni a dodici anni, facendo in realtà solo loro del male. All’oratorio si cresceva imparando che nulla nella vita è dovuto: se uno è più bravo, vincerà. E allora tu per essere bravo uguale devi correre di più, imparare, crescere. Perché nessuno l0 farà per te. Il campetto insegna la vita».
Zoff torna sulla foto che lo ritrae mentre balla in discoteca, negli anni ’70. Ne parlò anche in un’intervista al Corriere della Sera, qualche tempo fa.
«Festeggiavamo uno scudetto e non mi tiravo indietro. Ma a quei tempi si andava a ballare solo dopo una vittoria del campionato, mica tutte le sere. Era una cosa straordinaria. E si faceva tardissimo, si tornava a casa all’alba. Ricordo la vergogna mia e di Capello, una volta che siamo usciti da un locale quando la gente andava a lavorare».
E conferma ancora una volta che dopo la vittoria del Mondiale restò in stanza con Scirea:
«Verissimo. Avevo già quarant’anni e sapevo che non sarebbe stato possibile rivincere un Mondiale. Era un momento da santificare, più che da ballare».
Zoff: «Ricordo la vergogna mia e di Capello quando uscimmo da un locale all’alba e la gente andava a lavorare»