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«Gioco in Serie A da dieci anni», Juan Jesus sbatte il curriculum in faccia allo stupore generale

Accolto a Napoli come se facesse un altro lavoro, è l’unico non sorpreso dalla sua prestazione a San Siro. È l’ennesimo riciclo di Spalletti l’uomo che rigenera calciatori

«Gioco in Serie A da dieci anni», Juan Jesus sbatte il curriculum in faccia allo stupore generale

Bisognerebbe avere quell’espressione lì, quella faccia un po’ così, che ha Juan Jesus quando risponde al giornalista meravigliato da tanta bella prestazione, che lui gioca in Serie A da dieci anni. E che, insomma, se non ce n’eravamo accorti, ha giocato cinque anni a San Siro con l’Inter, poi all’Olimpico con la Roma, ora al San Paolo col Napoli. Non proprio la carriera d’un parvenu. Marcare Giroud, stoppare il Milan, è il suo lavoro. Con quel sorriso appena accennato, la pacatezza d’una puntualizzazione dritta ma gentile, volendo, domini le intemperie della vita. O, perlomeno, dai lustro alla tua lucidità. Che per un calciatore non è proprio cosa scontata.

I napoletani hanno scoperto di avere un difensore al di là di quelli che vanno a comprare seimila euro di sigarette in Grecia e non tornano più. In una serata consistente come il Das: il Milan battuto così, a casa sua, con la Var e l’arbitro ad interpretare una regola in favore del Napoli, al 90′. Meritando, persino, alla faccia degli alibi, dello sconfittismo, della sfiga. “Se credi che esista la fortuna, allora ti devi aspettare anche la sfortuna – ha detto uno sciatore mezzo pazzo come Svindal – per cui è meglio lavorare, fare le cose per bene e vedere come va”. Lo spallettismo applicato alle nevi. Juan Jesus pare far parte della stessa suggestione.

“Quello è Koulibaly, con la maglia di Juan Jesus”, ha detto qualcuno quando l’attacco del Milan gli rimbalzava addosso, a lui e al compare insuperabile Rrhamani. Per i mattacchioni era un’occasione d’oro: Jesus contro Messias, a Natale o quasi. Ma lui è rimasto serio, costante, soprattutto tranquillo. “Ero calmissimo – ha detto dopo – qui ci ho giocato cinque anni, sono sicuro dei miei mezzi”. Un’ostentazione di agio sconosciuta alla drammaturgia che precede, a volte attraversa e supera, partite del genere. Sconosciuta soprattutto al suo pubblico: i napoletani che l’avevano accolto nell’indifferenza più totale quando questa estate era stato riesumato da un’annata invisibile alla Roma. Uomo di Spalletti, si disse giustamente. Ma senza dar credito ad altro: quasi un raccomandato, uno che il tecnico usa alla perfezione. Un rincalzo, buono soprattutto a far numero in più ruoli. Terzino, centrale. Un tappabuchi multiforme. Hai detto niente.

E così lo ritroviamo nel mezzo di San Siro a sportellare con Ibrahimovic e poi con Giroud, come se lo facesse per davvero da dieci anni. Se lo autocertifica, e tocca adeguarsi, nell’evidenza di una prestazione dopo l’altra. Affidabile, puntuale. Lo vedessero a Roma, dove gli imputano disastri su disastri, si stropiccerebbero gli occhi. Forse se ne avvedono, forse adesso hanno altro a cui pensare. Era in campo la notte di Roma-Barcellona 3-0, ma avevano smesso d’amarlo nella Capitale. Fino allo svincolo contrattuale, un’uscita sull’autostrada professionale.

Ma a Napoli Juan Jesus è una bella scoperta. Ed è – anche – una “Spallettata” in purezza: un colpo artigianale, da allenatore che maneggia giocatori nella testa da decadi. Un riciclo quasi ecologico. Juan Jesus era lì, in un sottoscala, a prender polvere. Spalletti ci ha soffiato su, ed eccolo qua.

Non che non ci avesse avvertito, lui. Bastava ascoltarlo, e far finta che le sue prime parole a Castelvolturno non fossero le solite storie del calciatore che bla bla bla: «Napoli è la mia rivincita, posso dare tanto”, aveva detto. “Spalletti è un allenatore di grande spessore e ha un rapporto con i calciatori, come fosse un padre. Non so perché a Roma abbia giocato poco: onestamente non ero infortunato, è stata una scelta tecnica ma non sono “contro” nessuno. Chi mi conosce, sa della mia professionalità, mi alleno con tanto impegno e la mia carriera lo testimonia. Ho 30 anni, sono nel pieno della maturità, so quello che posso dare e so quando aiutare i miei compagni».

Tutta questa consapevolezza intenzionale ha poi preso forma in campo. Ed è esplosa come i coriandoli a Carnevale in una notte fredda di San Siro, che in teoria può spalancare una sliding door del Napoli. Sbaglierà, certo, capiterà. Ma più dei gesti, resta quell’espressione un po’ così che hanno quelli forti dentro. E la nostra, imbarazzati dallo stupore.

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