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Lo stadio a Napoli non tornerà più come prima, facciamo pace con la realtà

Il calcio, a Napoli (e non solo), ha perso di interesse. Nel frattempo, in questi anni, Napoli si è svuotata, vittima di un progresso migratorio che si fa finta di non vedere

Lo stadio a Napoli non tornerà più come prima, facciamo pace con la realtà
Photo Matteo Ciambelli

Lo stadio Maradona. Vecchietto lui è simbolo della vecchiezza nostra. Crogiolo delle nostre domande da trepidanti anziani. Luogo dei nostri sfoghi da senilità incipiente.

Come mai non si riempie? Forniteci la risposta e non più d’una.

I prezzi, i parcheggi, la metropolitana, Napoli Verona, il presidente, la nuova giunta, la vecchia giunta, i bagni, il tifo organizzato che manca, la fun zone, il tifo organizzato che c’è, Napoli Atalanta, la copertura, i campionati truccati, DAZN, Sky, il business, il centro sportivo a Castelvolturno, la comunicazione societaria, Orsato, le carenze infrastrutturali. Quando si iniziano a investigare tutte le potenziali cause e si ignorano tutti gli effetti evidenti è sintomo che si sta invecchiando e non benissimo.

Il calcio, a Napoli (e non solo), ha perso di interesse. Questo è il fatto, semplice e privo di fronzoli, col quale si deve convivere. È un dato evidente e non è una bestemmia. Anche il sole ha una età e scomparirà un giorno, è tutt’altro che impossibile che prima di allora possano scomparire il quattrotretre e l’idea del vertice basso di un centrocampo. Per cercare di godere, nella vita, magari procrastinando qualche dolore di troppo visto che a ciascun giorno basta la sua pena, si può iniziare a vivere quanto c’è senza domandarsi ogni istante il perché di ciò che manca. Il calcio, un tempo, spiegava tanto del mondo di moltissime persone. Ha spiegato giorni e notti della giovinezza dei più tra noi. Oggi non più, perché c’è altro, vivaddio, e Squid Game intercetta più sentimenti di un colpo di tacco. A lamentarsi dello stadio vuoto, non a caso, sono i quarantenni, i cinquantenni, i sessantenni – cioè quelli che sono entrati nell’età dei buoni consigli avendo esaurito da un po’ quella del cattivo esempio. Maggiore è la nostalgia della giovinezza, più forte sarà l’invettiva contro i mores moderni. Insomma è la tipica predica alle nuove generazioni che parte da un sentimento di cupo fastidio da parte di chi si ritrova canuto senza preavviso.

I vecchi di oggi conducono il vessillo dello stadio vuoto per piangere la loro pensione. Ripropongono un vocabolario stantio e completamente illeggibile da parte di chi oggi ha quindici o vent’anni – il riscatto sociale, il senso di appartenenza, il territorio. Chi mai può pensare che un gol di Osimhen oggi affranchi per qualche ora un emigrato napoletano che lavora alla Mirafiori? È come pensare che Napoletani a Milano di De Filippo, film del 1953, possa suggerire qualcosa a chi è nato cinquant’anni dopo. È saltato tutto, da tempo – lo schema mentale e sociale nord-sud, i significati politici, gli equilibri economici – e la giostra dei vecchietti continua a suonare come farebbe un carillon in un film di George Romero.

C’è poi un’altra considerazione da fare, assai poco popolare, anzi per molti scabrosa, e che quindi vale la pena menzionare su questo giornale. Il sud, Napoli, si sono svuotati (non so se le varie giunte comunali, le istituzioni culturali, i mezzi di informazione se ne sono accorti) ad un tasso elevato e significativo nel tempo – basta leggere i dati ufficiali, tutti sottostimati. Sono fenomeni sociali ciclici, dinamiche note e macroscopicamente riconoscibili. I luoghi della terra si riempiono quando viverci conviene e si svuotano quando risiederci conviene meno. Questo è uno dei motivi per cui, ad esempio, dove un tempo c’era Jan Palach oggi c’è Andrej Babiš o dove un dì fioriva il meglio della cultura europea oggi gli elettori votano per Viktor Orbán: l’ex blocco sovietico ha provocato una emigrazione di massa della parte più critica ed intraprendente della propria società lasciando in patria quella generalmente meno dinamica e capace. In Italia, nel suo sud in particolare, è avvenuto qualcosa di molto simile: il declino pluridecennale (culturale, economico, politico) di tante città come Napoli ha portato le forze sociali locali più mature ad esaurirsi, ritorte su se stesse, cosicché ad andare via è stata sovente la parte della comunità più emancipata e critica che continua tuttavia a sentire un legame col proprio luogo originario e a nutrire questo canale di comunicazione adoperando il calcio come viatico ideale. Di più: questa emigrazione, fino a alcune decine di anni fa nazionale, è ormai da tempo internazionale. Dunque mentre intra moenia la passione per questo sport è scemata più fortemente, extra moenia il calcio assume ancora un valore identitario seppur sostanzialmente nuovo e distaccato dalla vita cittadina locale, quando non in aperto contrasto con essa. Anche queste sono dinamiche più generali e assai note: basta vedere, ad esempio, come votano alle politiche gli italiani residenti in Italia e quelli all’estero, sempre in aperto contrasto: si è mantenuto l’interesse ma le sensibilità presentano naturalmente divergenze sostanziali.

Nel calcio c’è un altro elemento essenziale, ovvero quello economico: chi è andato via ed altrove ci è rimasto generalmente lo ha fatto perché ha trovato condizioni migliori ed è dunque un tifoso-acquirente più conveniente per il business  di una squadra di calcio. Questo spiega, ad esempio, la apparente incomunicabilità tra tifo locale cittadino e presidenza del Napoli: a conti fatti, cinquanta o settanta euro per entrare allo stadio non sono un ostacolo insormontabile per molti di questi emigrati, per cui la società di calcio preferisce rivolgersi a questi soggetti piuttosto che lavorare ad assecondare il tifo organizzato locale all’interno di uno stadio. Si legge, si compra, si discute del Napoli più al di fuori che all’interno. Lo stadio, che non può spostarsi per ovvie ragioni, rimanendo all’interno resta dunque vuoto.

Invece di usare i prossimi dieci anni per domandarsi il perché, converrebbe quindi far pace con la realtà. Il San Paolo non c’è più e non tornerà. Il tema del tifo organizzato è assolutamente marginale. Quello del prezzo dei biglietti lo è quasi allo stesso modo. È mutata la storia di centinaia di migliaia, forse milioni di individui. È ridicolo anche solo immaginare che ci siano una manciata di provvedimenti che possano mutare il corso del tempo.

Il mondo va per i fatti suoi. O lo si asseconda e si sviluppa qualche interesse nel domani o si finisce vecchietti.

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