ilNapolista

Beati coloro che si riempiono la bocca di “Mourinho bollito”

SCRITTO SETTE MESI FA. È un gigante, in campo e fuori. Non si hanno buste paga milionari per caso, il furore social fa finta di non saperlo

Beati coloro che si riempiono la bocca di “Mourinho bollito”
Roma 26/09/2021 - campionato di calcio serie A / Lazio-Roma / foto Image Sport nella foto: Jose' Mourinho

Ogni tanto nell’universo dei commentatori social del calcio si fa strada una verità. Gratta gratta, sono sempre le stesse. I termini utilizzati sono identici. Sono quasi sempre declinati al negativo. Stroncare un personaggio famoso evidentemente regala una particolare forma di godimento, come se in quel momento nell’animo dell’anonimo stroncatore si facesse largo l’illusione di poter contribuire alla distruzione di colui il quale ce l’ha fatta nella vita e vive più o meno soddisfatto (al contrario dello stroncatore).

Questi tsunami social – contraddistinti da dilettantismo, pressapochismo, ignoranza delle circostanze e del tema di cui si parla – sono ciclici. Da qualche tempo, hanno investito José Mourinho. “È bollito”. E lo si dice con la bocca bella piena, che trasuda quella  sensazione di libido che una frase del genere evidentemente suscita. “È bollito”, e in genere viene affiancato da un altro grande classico “sapevo vincere anche io con le squadre che ha avuto lui”. Il che suona ancor più meraviglioso. Sarebbe come dire che tutti noi sull’auto di Verstappen o di Hamilton vinceremmo i gran premi in Formula Uno. Sono frasi dette con assoluta certezza, quasi come se fossero le tavole di Mosè. Ergo: tutti i presidenti di calcio che hanno pagato stipendi ultramilionari a Mourinho, sono idioti.

Da contraltare a questa vulgata, andrebbe considerata quella uguale e contraria. Ossia la corrente social (di pensiero ci sembra un termine eccessivo) per cui appena una squadra di calcio azzecca in croce tre passaggi di fila, l’allenatore diventa un gigante, un maestro. Da Maurizio Sarri in giù, l’elenco è ormai stracolmo.

Di questo filone non ci occuperemo in questo articolo. Ci limiteremo a sbandierare il vessillo di Mourinho. E diciamo che è solo e soltanto la presenza di Mourinho a far pensare che la Roma, la rosa della Roma, possa ambire ad arrivare tra le prime quattro in campionato. Con qualsiasi altro allenatore in panchina, la Roma sarebbe da ottavo posto. Non a caso, giustamente, lui ricorda quasi a ogni conferenza stampa che nelle ultime due stagioni sono arrivati quinti e settimi. È vero, ha ragione. Gli stessi piazzamenti – invertiti – del Napoli di Gattuso, tra l’altro.

Tanto per fare un esempio, la Roma è quarta in campionato e la Lazio è ottava. Eppure Mourinho è stato quasi crocifisso. Lui, da grandissimo showman, ieri ha trovato un modo formidabile per metterlo in evidenza. In conferenza stampa, ha fatto finta di non ricordare la posizione in classifica della Roma. «Siamo quinti, sesti?» ha detto rivolgendosi all’uomo comunicazione che ha prontamente risposto: «Quarti, siamo quarti».

Bisognerà prendere in seria considerazione l’ipotesi che Mourinho in Norvegia non ha sbagliato niente. Certo hanno rimediato una figuraccia che resterà nella storia della Roma. Ma, attenzione, Mourinho in Norvegia ha creato un punto di rottura. Sono i punti di rottura a determinare il tuo futuro. Puoi arenarti, saltare in aria, naufragare. Ma allora, in quel caso, vuol dire che margini di crescita non ce ne sarebbero stati in ogni caso. Oppure fai comprendere a tutti, a tutti (società, calciatori, tifosi, giocatori) che il problema c’è ed è reale. Metti tutti di fronte alla realtà. Perché è così che si acquisisce consapevolezza. E aggiungiamo che lui di quella trasferta ha spiegato ogni passaggio logico che lo ha portato a quelle scelte. Ogni passaggio logico.

Mourinho ha gestito sapientemente il prima, il durante e il dopo. Anzi più che sapientemente, in maniera eccellente. Chi nella vita fa altro, e infatti porta a casa stipendi con tanti zeri rispetto a Mourinho, si è riempito la bocca di frasi fatte come “si è messo contro lo spogliatoio”, “sono bravi tutti a fare così” e via dicendo. Il risultato è stato che domenica la Roma ha giocato una signora partita contro il Napoli, ha saputo soffrire quando c’è stato da soffrire, ma ha saputo anche rendersi pericolosa. Tutto è sembrata ieri la Roma tranne che non fosse una squadra solida, compatta e pronta a giocare alla morte.

Mourinho ieri è stato espulso, si è fatto espellere. Lo ha fatto deliberatamente, a nostro avviso. Sapeva di dover trasmettere quello stato d’animo ai suoi giocatori. Doveva trasmettere ai propri calciatori l’idea di crederci davvero. E lo ha fatto.

En passant, diciamo che Mourinho non ha mai concesso quaranta metri di campo a Osimhen. Non lo avrebbe fatto nemmeno sotto tortura. Perché Mourinho – vivaddio – se ne impippa dell’altezza del baricentro. È vecchia scuola, resta legato a quell’orpello del risultato.

In conferenza ha rilasciato una dichiarazione che non può non aver colpito i tifosi della Roma: «Loro erano al top della forma, della condizione, dell’entusiasmo, venivano da otto vittorie consecutive; noi venivamo da due sconfitte, di cui una in Norvegia per 6-1, con tanti problemi, e abbiamo pareggiato». Una frase che sembra buttata lì, facile facile. Una fotografia che in tanti, a Roma, hanno incorniciato nella stanza.

Mourinho è manna per il calcio italiano. Ogni suo gesto, ogni sua parola, non sono mai superficiali, buttati lì tanto per dire o fare qualcosa. Ha gestito una burrasca come neanche Achab. E, attenzione, aveva vinto già prima del fischio d’inizio. Perché portare 50mila tifosi allo stadio dopo aver perso 6-1 contro il Bodoe-Glimt è un’impresa che rende il valore della figura di Mourinho.

Voi chiamatelo pure bollito, nel professionismo è e sarà sempre la busta paga a stendere la classifica del valore delle persone.

post scriptum

Le sue parole a insigne: “sei pesante, ti lamenti sempre, pensa a giocare” sono un ritratto insuperabile.

ilnapolista © riproduzione riservata