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Allegri non ha più la squadra per vincere le partite sporche

L’analisi tattica di Napoli-Juventus. Spalletti sta insegnando al Napoli a cambiare abito. Lo sta rendendo elastico. I suoi cambi tattici. Il capitolo Anguissa

Allegri non ha più la squadra per vincere le partite sporche
Napoli 11/09/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Leonardo Bonucci-Victor Osimhen

Uno scontro tra filosofie

Napoli-Juventus 2-1 dell’11 settembre 2021 resterà nella storia come la partita dello scontro frontale tra Spalletti e Allegri. Per quello che è successo dopo la partita in sala stampa, certo. Ma anche per quello che era già avvenuto in campo, dove abbiamo assistito a una grande sfida filosofica, prima ancora che tattica. Da una parte, infatti, c’era un allenatore che aveva preparato e ha giocato la partita perché la sua squadra potesse avere il sopravvento sull’altra – ci riferiamo a Spalletti. Dall’altra, invece, c’era un allenatore che aveva preparato e ha giocato la partita perché la squadra avversaria non avesse il sopravvento sulla propria.

Questo non è un racconto della vecchia e ormai noiosa crociata tra giochisti e resultadisti. Spalletti e Allegri, infatti, hanno manifestato un differente approccio mentale al gioco del calcio: proattivo contro speculativo. E da qui partiamo senza emettere giudizi di sorta, ovvero sottolineando che si tratta di due visioni opposte, ma entrambe legittime. O meglio: che si legittimano solo nei risultati e con i risultati, ovviamente, ma che non sono ontologicamente differenti tra loro, almeno secondo chi scrive.

Gli schieramenti di Napoli e Juventus nel primo tempo. In alto, le due squadre in fase di non possesso; sopra, le due squadre in fase offensiva.

Cosa significa che Spalletti è stato proattivo e Allegri è stato speculativo? In cosa si sostanziano questi due aggettivi? Intanto, nelle scelte iniziali di strategia e formazione: il Napoli è sceso in campo con un 4-2-3-1/4-5-1 piuttosto scolastico, con Elmas che retrocedeva accanto al doble pivote in fase passiva e i due esterni difensivi – soprattutto Mário Rui – che si proponevano con una certa continuità in fase offensiva, dando vita a quello che in realtà era un 2-4-3-1; la Juventus, invece, si è disposta in campo con un 4-4-2 puro in fase passiva, che si evolveva in uno schema spurio in fase di possesso, una sorta di 4-3-3 asimmetrico in cui Rabiot e McKennie agivano da mezzali di fianco a Locatelli, mentre Bernardeschi restava larghissimo a destra rispetto alle punte Morata e Kulusevski.

Anche dal punto di vista strategico le intenzioni delle due squadre sono apparse immediatamente chiare: il Napoli ha traslocato fin da subito e in massa nella metà campo avversaria (baricentro posto a 58 metri nel primo tempo), e ha cercato di asfissiare la Juventus col possesso palla; da parte sua, la squadra di Allegri ha accettato questo contesto, anzi voleva proprio che il Napoli giocasse in quel modo, contenendolo e ripartendo in verticale. Per farlo, Allegri ha intasato gli spazi centrali, stringendo molto gli esterni alti in fase di non possesso, e ha quindi costretto i giocatori di Spalletti a muovere il pallone sulle fasce (a fine partita più del 75% delle manovre del Napoli sono state costruite sulle due corsie), laddove l’azione finiva per ristagnare. Ecco cosa vuol dire che Allegri ha modellato la sua squadra in modo da limitare l’avversario.

Il doble pivote del Napoli, la Juventus tutta sotto la linea della palla (a parte Morata). Bernardeschi e Rabiot, teoricamente esterni di centrocampo in fase difensiva, sono strettissimi al centro. Elmas è nascosto dietro Locatelli e McKennie.

In un contesto del genere, la Juventus è riuscita è difendersi con ordine e anche con una certa tranquillità, per meriti propri ma anche per demeriti del Napoli. Gli uomini di Spalletti, infatti, hanno attuato un piano gara non adatto alle caratteristiche dei giocatori schierati da titolare: l’assenza di Lobotka e Zielinski, sostituiti con Anguissa ed Elmas, ha determinato il famoso rovesciamento del triangolo a centrocampo (con il macedone vertice alto davanti al doble pivote) ma questo cambiamento non è stato accompagnato – almeno nel primo tempo – da un cambio di principi di gioco. Così il Napoli si è trovato a costruire da dietro senza avere uno scarico semplice su un giocatore bravo a farsi trovare dai centrali, ovvero Lobotka. E inoltre ha pagato la tendenza di Elmas a “nascondersi” dietro la linea di centrocampo della Juventus – come si vede chiaramente dal frame in alto.

Il gol di Morata, nato da un errore tecnico di Manolas, ha finito per accentuare l’atteggiamento speculativo della Juve. Il Napoli ha fatto una fatica tremenda a far progredire l’azione, e infatti il primo tempo si è concluso con 2 soli tiri in porta degli azzurri, entrambi casuali – un colpo di testa di Osimhen su calcio d’angolo e addirittura una conclusione a giro tentata da Koulibaly.

Un tocco verticale e un’apertura panoramica sull’altra fascia. La Juventus, con due tocchi, crea le condizioni per tirare verso la porta di Ospina.

La Juventus, pur giocando in maniera speculativa, ha concluso per 4 volte nello specchio difeso da Ospina. Questo perché la squadra bianconera è riuscita a ripartire con una certa pericolosità, sfruttando corridoi verticali e successivi cambi di gioco da fascia a fascia. Nel video sopra, c’è un’azione pericolosa costruita proprio in questo modo. Una stratega perfetta per bucare un Napoli che – come detto – costruiva male da dietro, che non trovava sbocchi offensivi e che perciò portava molti uomini nella metà campo avversaria. Insomma, gol fortunoso e casuale a parte, Allegri aveva incartato benissimo il Napoli e la partita, anche se con un piano piuttosto elementare.

Cos’è cambiato nella ripresa

In realtà c’è stato un momento in cui il Napoli ha messo alle corde la Juve: nei primi sette-otto minuti di partita, prima del gol di Morata. In quel frangente, gli uomini di Spalletti hanno fatto girare il pallone sulle stesse direttrici utilizzate per il resto del primo tempo, solo con una velocità e un’intensità tale che il dispositivo difensivo avversario, per quanto efficace e preparato a questo tipo du partita, ha finito per andare in sofferenza. E così la Juventus non riusciva a ripartire con continuità. Anzi, non ripartiva per niente. Mettetela da parte, questa informazione. Tornerà utile nella ripresa.

Sì, perché nell’intervallo Spalletti ha riveduto e corretto ciò che non aveva funzionato nella formazione del primo tempo. E ha ordinato alla sua squadra di tornare in campo con un atteggiamento che ricalcasse quello mostrato nella parte iniziale della prima frazione di gioco. Le due cose si sono fuse alla perfezione, e hanno subito sortito degli effetti. Cominciamo dal cambio Ounas-Elmas: il fantasista algerino, schierato nel ruolo di sottopunta, si è mosso tanto dietro le linee per offrire una soluzione alternativa a Fabián Ruiz e Anguissa, e soprattutto l’ha fatto molto più velocemente rispetto al giocatore che ha sostituito.

Tutti i palloni giocati da Ounas prima dell’ingresso di Zielinski e Lozano, quindi prima del suo spostamento nel ruolo di esterno destro.

Come si vede nello screen in alto, la tendenza di Ounas a giocare sulla destra ha fatto sì che l’algerino duettasse molto di più con Politano che con Insigne. Ma Spalletti ha saputo compensare perfettamente questa dinamica, con una mossa azzardata ma vincente: il passaggio alla difesa a tre. Di Lorenzo è rimasto (più) bloccato accanto ai due centrali, Mário Rui si è aperto tantissimo sulla sinistra e Politano ha assunto il ruolo di esterno a tutta fascia sulla destra – ovviamente con un’interpretazione molto offensiva del ruolo. Quindi si può dire che il Napoli abbia cambiato modulo nella ripresa, passando a un 3-2-4-1 piuttosto visionario, con Insigne e Ounas a giocare nei mezzi spazi, più Politano e Mário Rui a garantire ampiezza.

In alto, le posizioni medie del Napoli nella ripresa fino all’ingresso in campo di Lozano e Zielinski; sopra, la difesa a tre in fase di impostazione, il doble pivote e Ounas nel mezzo spazio di centrodestra.

Il cambio di disposizione in campo ha determinato anche un cambio di velocità e di principi di gioco: il Napoli ha alzato il ritmo diminuendo l’esasperazione del possesso, non a caso i 349 passaggi corti del primo tempo sono diventati 293, il pressing si è alzato e la Juve – già guardinga di suo, per sua scelta – ha finito per schiacciarsi in maniera totale e definitiva nella propria metà campo. I numeri parlano chiaro: nella ripresa, il Napoli tenuto meno il possesso (il 68% del primo tempo è sceso fino a quota 64%) eppure ha tentato la conclusione per 15 volte; 4 di queste sono entrate nello specchio della porta di Szczesny. Da parte sua, la Juventus è arrivata al tiro solo per 2 volte, e non ha mai impegnato Ospina in alcuna parata.

È così che si è materializzato il grande equivoco filosofico e strutturale della Juventus 2021/22. Come abbiamo detto in apertura, è assolutamente legittimo che Allegri scelga di preparare le proprie partite in senso speculativo, cioè partendo dall’idea che la prima cosa da fare sia limitare l’avversario.  Inoltre, le tantissime assenze avranno sicuramente inciso nell’ideazione e nell’attuazione di questo tipo di piano gara contro una squadra di qualità come il Napoli. Allo stesso tempo, però, questo approccio diventa efficace solo se fondato su una solidità difensiva reale, verificata. Su un’anima d’acciaio che tiene in piedi l’intero sistema. E invece la nuova Juventus sembra essere formata da giocatori che commettono errori. E a cui, quindi, non può bastare trovare un gol – o anche due, come successo a Udine – per poter gestire con tranquillità la partita.

Errori individuali e calci d’angolo

Nelle interviste postgara, Allegri ha detto che la Juve «ha pagato i suoi stessi errori». È una lettura veritiera e anche consapevole. Ma va anche detto che le uniche reali occasioni costruite dai bianconeri – il gol di Morata, il tiro sotto misura di Kulusevski intercettato da Ospina in uscita e la conclusione da fuori area di McKennie nella ripresa – nascono tutte da un errore del Napoli in appoggio. Ovvero da uno sciagurato stop di Manolas, da un improvvido colpo di testa all’indietro di Insigne, da un passaggio sbilenco di Di Lorenzo. Numeri alla mano, dunque, il gioco della Juve ha prodotto pochissimo nel primo tempo e nulla nella ripresa.

Dall’altra parte, invece, la pressione costante del Napoli non avrà generato moltissime occasioni nitide, ma ha finito per determinare gli errori commessi da calciatori che, almeno in questo momento, non sono all’altezza di quelli che in passato hanno vestito la maglia bianconera. E che un tempo riuscivano a vincere certe partite definite “sporche” grazie allo stesso approccio speculativo visto ieri al Maradona.

E se questa disamina non vi convince perché il gol di Koulibaly nasce effettivamente da una giocata senza senso di Kean, lasciatevi convincere dai numeri: il Napoli ha battuto 13 calci d’angolo contro uno della Juventus. È sempre vero che il calcio è uno sport che assegna la vittoria alla squadra che segna, non a quella che tiene di più il pallone o accumula più tiri in porta o dalla bandierina. Ma occorre provarci, occorre attaccare, per segnare. Oppure occorre avere un portiere e difensori fortissimi e sempre concentrati per difendere un solo gol di vantaggio senza fare gioco.

Anguissa

È qui che tornano d’attualità le definizioni con cui abbiamo aperto questa analisi: proattivo contro speculativo. Spalletti ha dimostrato di avere strumenti e letture migliori rispetto al suo collega, ha lavorato sul miglioramento della sua squadra e alla fine ha vinto meritatamente la partita. Nel secondo tempo, le scelte dell’allenatore del Napoli hanno determinato un aumento dell’intensità di gioco che ha finito per esaltare quasi tutti i suoi calciatori: Fabián, per esempio, ha iniziato a macinare chilometri e passaggi; Insigne, pur nel contesto di una prestazione piuttosto scialba, ha mostrato maggiore vivacità; Mário Rui e Politano si sono proposti con puntualità sulle fasce, anche se non sempre con la necessaria pulizia tecnica e/o la giusta lucidità.

Il giocatore che è migliorato di più, però, è stato senza dubbio Frank Anguissa. Fin dai primi minuti di Napoli-Juventus, l’ex Fulham ha dimostrato di avere grandi polmoni, ottime letture e buoni piedi, ma nel primo tempo è stato limitato da un sistema di gioco troppo lento e poco aggressivo. Quando nella ripresa gli uomini di Spalletti hanno finalmente alzato il ritmo del proprio gioco, Anguissa è diventato un eccezionale uomo-ovunque, sia in fase difensiva che nell’appoggio pensante dell’azione offensiva.

In alto, tutti i palloni giocati da Anguissa nel primo tempo; sopra, quelli della ripresa.

Come si vede chiaramente da queste due immagini, il maggior movimento di Anguissa nella ripresa è un sintomo ma anche una conseguenza del cambio di registro del Napoli. Come gran parte dei suoi compagni, il nuovo centrocampista azzurro rende meglio quando c’è un’alta intensità tattica, quando l’aggressività in fase passiva e la velocità in attacco diventano le foglie di fico che coprono la scarsa coerenza strutturale di una rosa completa ma ibrida. Quella stessa rosa che ora, finalmente, viene gestita come se fosse un blocco d’argilla ancora liquida. Come se fosse un materiale da modellare di partita in partita, e anche nel corso della stessa partita.

Conclusioni

È da questo che bisogna partire, per capire il nuovo Napoli. Per capire il Napoli di Spalletti. In tre partite ufficiali, il tecnico toscano ha già fatto indossare quattro o cinque abiti diversi alla sua squadra, e le ha vinte tutte pur senza aver ancora trovato il modo per azionare davvero l’arma più pericolosa a sua disposizione – parliamo ovviamente di Victor Osimhen. Dopo l’espulsione contro il Venezia e la squalifica, l’attaccante nigeriano ha trovato la Juventus e quindi l’avversario e il contesto peggiori per poter esprimere il suo gioco fatto di esplosive corse in verticale. Eppure Spalletti ha smontato e rimontato più volte il suo sistema. E, alla fine, il risultato non risente di questa mancanza.

Ecco cos’è cambiato dall’anno scorso, dalle partite (non) giocate proprio contro la Juventus in Supercoppa e allo Stadium in campionato. Il Napoli 2020/21 era una squadra monolitica, stagnante, facilissima da leggere e quindi da contenere nelle sue giornate non ottimali. Oggi, invece, gli azzurri hanno l’elasticità – tattica e mentale – che serve per potersi adattare alle necessità e ai momenti negativi delle varie partite. Certo, molti meccanismi di gioco andranno migliorati. Anche Spalletti lo sa, l’ha detto nel postpartita di ieri. Ma siamo solo al terzo turno, e il fatto che il Napoli abbia già l’identità di una squadra mutevole è la miglior notizia che potessimo aspettarci a questo punto della stagione. Vale molto più dei nove punti in classifica e della vittoria sulla Juve, perchè un’ipoteca sul futuro.

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