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Malvaldi: «il dialetto è una poesia portatile, un modo molto importante di dire una cosa vera»

Intervista allo scrittore dei Delitti del BarLume. «Il giallo è perfetto per questi tempi, è un esercizio di logica per riordinare la realtà»

Malvaldi: «il dialetto è una poesia portatile, un modo molto importante di dire una cosa vera»

Lo scrittore pisano Marco Malvaldi ha scelto Sorrento come esordio per il suo tour nazionale che lo condurrà con il suo ultimo giallo dei Delitti del BarLume “Bolle di sapone (Sellerio)” in tutta la Penisola. Dopo la presentazione, applauditissima, ha acconsentito a rispondere in esclusiva ad alcune domande del Napolista.

Quando un tuo lettore è ad una tua presentazione letteraria, nota la grande carica comica che hai: ma hai un passato da scrittore comico o è una dote della tua terra?
“Io credo di essere un intrattenitore: mi piace fare ridere le persone che ho attorno. Questo mi viene sia dalla mia terra che dalla mia famiglia: siano persone inclini a non prenderci molto sul serio. Quando ero piccolo andavo in vacanza a Navacchio e lì eravamo una combriccola molto numerosa: figurati che stava con noi anche un pescatore personaggio particolare che poi divenne mio zio e che un giorno tento di vendersi mia zia Bruna a tranci al mercato… ”.

Nei tuoi gialli – soprattutto nei dialoghi dei Vecchietti-Bimbi – l’attenzione che dai al dialetto della tua terra, che rendi bene anche ad un pubblico più lato, nasconde un tuo interesse linguistico o cerchi un altro livello di espressività?
“Allora, certe cose in dialetto hanno un altro significato che non in lingua: il dialetto toscano poi è comprensibile, non è come quello di Cuneo… Poi c’è stato un tale – Andrea Camilleri – che in Sicilia ha sdoganato l’uso del dialetto: il dialetto è figlio della terra. Da noi utilizziamo il dialetto arricchendolo di proverbi ed essi dicono tutto ed il contrario di tutto: sono armi a doppio taglio. Figurati che c’è un proverbio – io sono di Pisa – che dice ‘meglio un morto in casa che un pisano alla porta’ e noi rispondiamo ‘te lo auguro!’. Il dialetto non è una verità in senso assoluto, ma una poesia portatile, un modo molto importante di dire una cosa vera”.

Il tuo rapporto con lo sport è passionale e curioso: per chi tieni come squadra calcistica?
“Da sempre tengo per il Toro: già la mia famiglia è originaria del Piemonte, ma come credo si dica anche dalle vostre parti, ‘l’importante è che non sei juventino’. Poi mio fratello più grande era già tifoso granata. Ognuno cerca nella squadra a cui tiene un modo diverso di sfogarsi. Il tifo è circense: si perde la razionalità con uno sfogo sociale autorizzato”.

Perché in Italia la letteratura comica è considerata un genere minore: colpa della Chiesa che ci ha fatto tutti agelasti e senza gioia?
“Guarda non lo so: però c’hai preso perché io mi reputo uno scrittore comico. Forse perché noi abbiamo avuto un Ottocento estremamente romantico e serioso. Poi fare ridere è difficile tanto che è diventato idiomatico il dialogo tra Age ed Alberto Sordi quando l’attore romano gli chiese, ‘cosa stai scrivendo?” ed Age rispose ‘una cosa drammatica’ e Sordi chiosò ‘… te stai a riposà’!”.

Che idea hai di Napoli e della sua letteratura e quali sono i suoi autori – se ve ne sono – che più ti hanno interessato o che segui attualmente?
“Per me l’autore napoletano per eccellenza è Mimì Rea ed adoro la sua ‘Ninfa plebea’. Poi mi piace da impazzire Eduardo che reputo un autore letterario: se poi uno viene rappresentato da decenni e finisce in quasi l’80% delle programmazioni teatrali odierne qualcosa significherà… ”.

Come ti è venuto in mente di mettere il commerciante e compilatore di ricette Pellegrino Artusi in un giallo storico?
“Artusi è stato il primo blogger gastronomico della storia. Io avevo proposto alla Sellerio un giallo storico ottocentesco di ambientazione inglese ed avevo già un titolo ‘Tre uomini a caccia ed un cane… ”. Poi Antonio Sellerio mi chiama e mi dice: ‘Ma perché non trovi un investigatore italiano e lo metti in un’ambientazione italiana dell’epoca?’. Ed io ho pensato ad Artusi che in un tempo di Moti del ‘48 girava l’Italia unendola con il cibo: perché lui non fa un ricettario nazionale, ma venti regionali”.

Credi che la divulgazione scientifica possa avere sede nella narrazione che l’ha sempre snobbata in nome di una presunta superiorità dell’aspetto classico?
“Ti rispondo con un esempio: Tito Lucrezio Caro. Lo sai che quando nel 1870 Maxwell scopre la sua Teoria cinetica dei gas disse che l’idea gli era venuta leggendo Lucrezio e citò in nota il brano del ‘De rerum natura’? Eppoi potrei citarti anche ‘Il sistema periodico’ di Primo Levi che è un libro di Scienza ma anche un libro di grande letteratura dove impari a diffidare del simile e ad aumentare le tue capacità di analisi”.

Il giallo è il vero genere romanzesco di questi tempi liquidi?
“Sì, perché non sono tempi belli ed i lettori hanno bisogno di un genere di intrattenimento. La struttura del giallo, poi, ti aiuta perché tu prima di scrivere sai esattamente come andrà a finire: come, quando, dove, perché… Il giallo è un esercizio di logica per riordinare la realtà”.

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