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Ci ripetiamo da anni che “il Napoli è forte”. E da anni (almeno due) i risultati dicono altro

È un mantra, ormai. E il mercato conservativo è figlio di questa certezza. “Squadra che arriva settima e quinta non si cambia”

Ci ripetiamo da anni che “il Napoli è forte”. E da anni (almeno due) i risultati dicono altro

Diceva la buonanima di Muhammad Ali che “è la ripetizione delle affermazioni che porta a credere. E quando il credere diventa una convinzione profonda, le cose iniziano ad accadere”. Ecco a cosa serviva la Smemoranda delle medie: ad appuntarsi aforismi buoni per il Napoli 30 anni dopo. La rosa del Napoli, inerte dopo un’estate di calciomercato, trasmette in loop lo stesso messaggio, come una segreteria inceppata: “questa squadra è forte”. E’ un mantra silenzioso, implicito. Un’affermazione che ci ribadiamo ossessivamente da tre anni almeno. E nella ripetizione è diventata un credo, un atto di fede.

Il Napoli così composto, a immagine e somiglianza di quello dei 91 punti – 2017/18 – “è forte”. Solo che le cose no, non iniziano ad accadere. Sembra sempre che, ma poi no. Nel frattempo invecchiamo e il nostro punto d’analisi resta inscalfibile. Il compasso della storia lì appizzato ci disegna attorno delle mura, e non ne usciamo. Fino al verificarsi d’una inedita equazione: squadra che arriva quinta non si cambia. Che è come dire che rigore è quando arbitro fa occhiolino. No, non proprio.

Però è così che ci autorappresentiamo, con pochissimo tema d’essere smentiti, come in un perpetuo infantilismo. Tutti, eh. Noi per primi abbiamo più volte ribadito la profondità di questa rosa, rinfacciando – a Gattuso, per esempio – la negazione del principio per cui con questi giocatori qualcosa si deve pur vincere, prima o poi. Ed è su queste basi che la società (non) si è mossa nell’ultima sessione di mercato, ribaltando il concetto: non vendiamo nessuno, “e va bene così”. Ci siamo arroccati nell’immobilismo. Non tanto e non solo comprendendo il momento finanziario, ma soprattutto facendocene un vanto: eravamo forti prima, restiamo forti come prima. Ad oltranza. Squadra che arriva settima e poi quinta non si cambia. Sufficienze sui pagelloni di mercato e amen. Il Napoli è sotto vuoto, come un pezzo di speck.

Non è detto che non sia proprio così, in fondo. Anzi, magari questa solidità marmorea facilita il compito di Spalletti e le cose davvero stanno per accadere, basta solo aspettare. Nel frattempo però una domanda ce la facciamo: e se il Napoli non fosse davvero la squadra forte che tutti teorizziamo? Se c’avesse colto il demone della sopravvalutazione? Possibile che sia sempre un agente esterno (un Verona qua, un arbitro là), o un bug interno (l’ammutinamento, per dirne uno) a frapporsi tra noi e il meritato coronamento dell’obiettivo aziendale?

Mentre nell’avvilente impoverimento della Serie A le milanesi e le romane si scoprono maestre nell’arte dell’arrangiarsi, senza pigrizia, trovando soluzioni laterali, non sempre convenzionali, De Laurentiis ha scelto un’altra strategia: il conservatorismo. Che è in parte figlio d’una scommessa: la certezza inespugnabile che il dio del calcio non abbia ancora ricompensato Koulibaly e Insigne, Mertens e Mario Rui. Che i due anni senza Champions siano un inciampo del destino infame. Che la mano di carte sia quella buona, e quindi all-in su Osimhen e vediamo se stavolta – finalmente – gira bene.

È un controsenso: puntare forte, quasi tutto, su un posto di retroguardia. Così persuasi d’essere sulla retta via da cedere all’assuefazione, rincalzare e accontentarsi. Impegnando una rendita di posizione, al ribasso. Questo dicono almeno gli ultimi due campionati. Che siano solo una mezza verità è possibile. E che, altrettanto, il dubbio sia innescato dalla smania di boicottare un’altra stagione annaspante. Ma è pur sempre settembre, capiteci: il capodanno del campionato alimenta i buoni propositi. Ma anche le illusioni.

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