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Djokovic: «Voglio prendere una laurea. L’Università è la casa della conoscenza e io sono molto curioso»

A Specchio: «Da quando sono papà è cambiato tutto, la priorità non sono più io ma i miei bambini. Siamo eterni attraverso la nostra anima, non con il corpo»

Su Specchio, settimanale de La Stampa, una lunga intervista a Novak Djokovic, che ha appena compiuto 34 anni.

Uno dei tennisti più discussi, spesso al centro di polemiche per le sue posizioni controverse, come sui vaccini.

Ha due figli, Stefan e Tara. Dice che quello di genitore è un mestiere difficilissimo.

«Lo ammetto: quello di genitore è il lavoro più difficile che c’è. Ma anche una gioia enorme. È una grande responsabilità, ti fa crescere come persona. La famiglia è sempre stata sempre tutto per me, quando ero piccolo i miei mi hanno appoggiato, hanno sacrificato la loro vita per mettermi a disposizione tutto quello di cui avevo bisogno e consentirmi di raggiungere quello che volevo, e che ho poi ottenuto nel 2011: vincere Wimbledon e diventare il numero 1 del mondo, i miei due sogni più grandi. Quando sono diventato papà, però, è cambiato tutto. Oggi non sono più io la priorità, ma i miei bambini, quando non sono sul campo dedico tutto il mio tempo a loro. Ho altri progetti, certo, ma sono secondari».

Sui figli:

«Guardano a te non solo come papà, ma come modello, e questo per me significa molto. È una sfida, perché voglio essere l’esempio migliore per loro, non solo come tennista. Voglio che possano condividere con me il bene e male che c’è in ogni giornata, è questo che mi fa felice»

L’educazione che dà ai suoi bambini è improntata all’autonomia, dice.

«Io e mia moglie Jelena siamo sempre a disposizione dei bambini, ma vogliamo che se la cavino da soli, non solo con i compiti. Devono imparare ad essere responsabili della loro vita, da quando si alzano a quando vanno a letto la sera».

E Djokovic com’era da bambino? Non andava bene a scuola, confessa, ma ha ancora ambizioni di studio.

«Ma io voglio ancora andare all’Università: non so se l’anno prossimo, o fra cinque anni, ma sicuramente voglio prendere almeno una laurea. Non esserci riuscito da giovane mi rattrista, anche se ovviamente sono molto riconoscente per tutto quello che ho avuto. L’Università del resto non è fatta solo per i ragazzi, la si può frequentare anche a 40 anni. È la casa della conoscenza, e io sono un tipo molto curioso. L’argomento che mi coinvolge di più è quello della salute, un campo molto vasto. Ma mi piace anche studiare le civiltà antiche e l’archeologia. In questo periodo sto proprio cercando di capire cosa può interessarmi di più. Oggi, poi, si può fare molto online, che forse è il metodo migliore per me, sia come tennista sia come papà».

Un tennista spirituale, Novak. Nell’intervista parla del rapporto tra corpo e anima.

«Non possiamo separare la persona in campo da quella fuori. Ciò che faccio e penso, le persone che mi sono vicine, tutto influenza il mio gioco e la mia felicità. Per questo cerco di mantenere la mente molto aperta, e guardo a me stesso e a tutti noi che abitiamo questo pianeta come anime. Il corpo viene dopo. Se chiedi a cento persone qual è la cosa più importante per loro, novantanove ti risponderanno la salute, la felicità, le gioie condivise con i tuoi cari. Io credo che siamo eterni attraverso la nostra anima, non con il corpo. Passo molto tempo a contatto con la natura, meditando e pregando, e lo faccio ogni giorno, perché mi aiuta a mantenermi in contatto con la mia anima e con l’energia cosmica. Io credo nelle emozioni positive, cerco di vedere in tutti le cose buone. Non sono perfetto, intendiamoci. Ci sono lati del mio carattere e comportamenti che non mi piacciono, che mi imbarazzano. Però servono a ricordarmi che ho ancora tanto lavoro da fare con me stesso. La connessione con natura e la spiritualità mi aiutano a capire meglio chi sono, ed un lavoro che non finisce mai».

Gli viene chiesto se è attratto dalla politica. Risponde di aver fatto politica già nel tennis.

«Sono già stato in politica: nel tennis. Per dieci anni ho lottato per dare voce ai giocatori, e ho visto che quello della politica è un mondo strano, che non mi piace. Un sistema sporco. Non mi trovo con quello che vediamo oggi in quasi tutti i Paesi moderni, nella nostra cosiddetta civiltà democratica. Più che politica, mi sembrano interessi corporativi. Non ho la preparazione per parlare di politica, ma da osservatore neutrale dico che la vera democrazia l’abbiamo smarrita molti anni fa. Oggi conta di più il business, l’interesse di parte, e non mi ci ritrovo. Se non sarà il cuore a dirmi che posso influenzare positivamente la gente, non lo farò. Però il mio futuro è aperto a tutto. Di certo sosterrò
anche fuori dal campo il mio Paese, mi sento molto vicino alla Serbia e ho interessi anche fuori dallo sport».

Djoko è milanista. Commenta lo scudetto vinto dall’Inter.

«Dopo aver battuto la Juventus a Torino, dello scudetto non mi importa più. È quello il Milan che vogliamo».

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