Castori: «Il mio è un calcio dispendioso, niente fighette. L’arbitro in campo non esiste»

Bella intervista al Corsport: «Contano i tiri in porta non la costruzione dal basso. Guardiola giocava così perché Xavi Iniesta e Messi»

Castori

Sul Corriere dello Sport una lunga intervista a Fabrizio Castori, tecnico della Salernitana neopromossa in Serie A. Lotito, racconta, al suo arrivo chi disse chiaramente che puntava alla promozione.

«Il mio è un calcio verticale. Il pallone deve viaggiare in avanti».

Sulla costruzione dal basso.

«Non mi piace. Ma non mi piace neppure essere considerato lo scemo del villaggio. Quando ero al Carpi mi rinfacciavano il modesto possesso palla e io mostravo il numero di tiri e di gol. L’ampiezza è utile in certe situazioni d’attacco se ti consente di allargare i difensori. Se è un dogma, conta poco. Il Barcellona del tiki-taka ti chiudeva nella tua area. Guardiola ha smesso di giocare in quel modo da anni, anche perché non puoi farlo senza Xavi, Iniesta, Messi che a un certo punto molla tutti e si presenta davanti alla porta. Ma vallo a spiegare agli entusiasti. Se sei tu a girarti il pallone tra difensori, mi spieghi a che cosa serve? Proprio a creare gli spazi, mi rispondono. E io che sono nato ragioniere continuo a contare i tiri che faccio invece dei palleggi tra il portiere e Gyömber».

Castori promette di portare questo stile di gioco anche in Serie A, nonostante sia un tipo di calcio dispendioso.

«E non semplice. Bisogna ricavarsi lo spazio, attaccarlo, accorciare immediatamente, essere pronti a recuperare quando perdi palla. In Serie A non smantello questo sistema di gioco, anzi. Ho già capito nell’esperienza con il Carpi che è efficace contro chiunque, ancora di più contro squadre di livello superiore, che ti vengono incontro. Bisogna alzare la qualità, ovvio. Perché la Salernitana deve restare in A, punto e basta. E se la società ha chiamato me vuol dire che intende sostenermi. Allora, primo: niente fighette. E’ un calcio dispendioso, dicevamo. A partire dagli allenamenti. Io mi faccio pagare in chilometri e accelerazioni e costo caro. Però ne vale la pena: con la Salernitana sette vittorie nelle ultime nove partite, con il Trapani otto su undici, con il Cesena quattro su sei. Finiamo in crescendo perché i giocatori mettono il motore e noi lo riempiamo di benzina. La fatica si allena con la fatica».

Dice di essere un autodidatta, che Klopp lo fa impazzire, ma aggiunge

«i miei movimenti tattici sono simili a quelli dell’Atletico Madrid di Simeone. A Carpi mi chiamavano Cholo, infatti. Però non è che li ho copiati da lui, il 4-4-2 e il 4-4-1-1. Li facevo da un mucchio di tempo. Quel modulo l’ha inventato Sacchi. Adesso Arrigo predica i passaggi a un metro, ma lui organizzava il gioco in tutt’altro modo».

Castori ha avuto un’esperienza lavorativa anche a San Patrignano.

«Marcello Chianese mi disse che stavano organizzando una rappresentativa e mi chiese di dargli una mano. Mi ritrovai a fare l’allenatore in tutto e per tutto tre volte a settimana. C’era un campo di terra, da battere ogni volta con il rullo. Erano ventisette-ventotto ragazzi. Cominciammo a lavorare e io li chiamavo per nome. Capirono che facevo sul serio. Poi li spinsi a usare magliette tutte dello stesso colore, organizzai turni per la manutenzione del campo, trovammo le divise. Alla prima esercitazione tattica chiesi a uno dei ragazzi di effettuare un movimento molto semplice. Lo sbagliò. Glielo feci ripetere e lui sbagliò di nuovo e si mise a ridere. Partii da centrocampo, lo afferrai per un orecchio, gli urlai: ma che c… ridi? O facciamo le cose per bene o non vi mando a cena. Non fiatò più nessuno. Si instaurò un rapporto forte. Erano ragazzi che si erano rifugiati nella tossicodipendenza perché avevano perso misura e valori. Sono stato contento di sapere dagli psicologi della comunità che attraverso il nostro lavoro sul calcio molti avevano ritrovato la consapevolezza di sé».

Continua:

«Per me era faticoso e difficile come allenare il Cesena. Anzi, di più: perché spesso dovevi risvegliare l’attenzione dei ragazzi, scuoterli. Ancora oggi molti di loro mi chiamano, mi hanno invitato ai loro matrimoni. Sul sistema della comunità, sulle accuse e sulle polemiche sorvolo. Posso solo dire che io non ho visto niente che mi abbia scandalizzato. E che dopo quei quattro anni sapevo della vita molto più di prima. Ho ricevuto più di quanto ho dato».

Sul suo lavoro alla Salernitana:

«Realizzo gli highlight degli allenamenti e li mostro ai giocatori. Ma non ricordo una riunione tecnica durata più di dieci minuti. Se insisti, l’attenzione crolla. Invece: guarda, hai fatto così, devi fare in quest’altro modo, e adesso via ad allenarsi. La velocità è una delle chiavi. Un’altra sono i numeri: il preparatore atletico elabora le statistiche degli allenamenti. Per esempio: se un giocatore mi fa dodici chilometri con dieci accelerazioni sopra i quindici all’ora è una cosa, con dieci accelerazioni sopra i venticinque la faccenda cambia».

Ma così i calciatori sputano la lingua, gli fanno notare. Risponde:

«La sapete quella del medico pietoso, vero? Mai dare alibi ai calciatori. Per questo non parlo degli arbitri. In campo l’arbitro non esiste».

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