Sulla Gazzetta: i casi Ilicic e Prandelli dimostrano che a volte il palcoscenico è insopportabile per chi si porta dentro il dolore, ma ridurre tutto alla sensibilità dei singoli sarebbe una fuga dalla realtà

Sulla Gazzetta dello Sport Walter Veltroni commenta la scelta di Cesare Prandelli di dimettersi dalla panchina della Fiorentina. Usa la scelta del tecnico come pretesto per un ragionamento più ampio sul calcio. E’ diventato troppo veloce, scrive. Come una macchina spietata.
“Il calcio, che è lavoro divertente per chi lo fa e prosecuzione della dimensione ludica della vita per chi lo vede, è diventata una macchina spietata. Presidenti non tifosi, che vivono il calcio come puro business, giocatori che cambiano maglia ogni stagione, allenatori vanesi che si fanno ideologi del “loro” calcio, organismi associativi che vivono paralizzati da sempiterni conflitti di potere, come la Lega Calcio. Il calcio italiano è malato. Non di talenti, lo dimostrano le nazionali. Ma è malato della perdita di cuore e progetto”.
I tifosi, continua,
“fanno fatica ad appassionarsi per squadre che sembrano la Legione Straniera, per giocatori che sono aziende di se stessi, per maglie che vengono baciate e stracciate con la stessa velocità”.
E’ vero che il calcio è business, ma “senza la passione il calcio si spegne”, “senza cuore tutto diventa noioso”.
I casi di Prandelli e Ilicic, ma, ancor prima quelli di Buffon e Sacchi, scrive Veltroni, dimostrano
“che esiste un confine tra sé e il proprio ruolo, tra il proprio vissuto e la sua rappresentazione. Che certe volte il palcoscenico è insopportabile per chi il dolore si porta dentro. Ma ridurre tutto alla sensibilità dei singoli sarebbe una fuga dalla verità. Il giocattolo si sta rompendo. Lo dicono le decisioni rinviate dei presidenti, le squadre eliminate quasi in toto dalle competizioni internazionali, la riduzione dell’attenzione per il calcio sui media. Si sta rompendo nel cuore degli spettatori e, ora, anche dei protagonisti”.