Alla Gazzetta: «Il mio più grande rammarico è non essere riuscito a far capire quanto vale il merito. Vincere non basta, devi meritarlo»
La Gazzetta dello Sport intervista Arrigo Sacchi per i suoi 75 anni.
Ricorda il suo passato da calciatore e racconta un aneddoto.
Al Baracca Lugo, da numero 4, marcai Capello, 10 della Spal. Nel primo tempo mi fece due tunnel a chiamata. Annunciava: ‘tunnel!’ e me la faceva passare tra le gambe. Nell’intervallo giurai: se lo rifà, picchio.
L’Europeo con l’Italia, la fine della sua esperienza da ct.
“Colpa mia, contro la Repubblica Ceca ci misi un quarto d’ora a fare la sostituzione dopo l’espulsione di Apolloni. E loro segnarono il 2-1. Non ero sul pezzo come una volta. Non ero già più quello di prima”.
In quei giorni ci fu un sollevamento popolare a favore di Cesare Maldini. Tirava un’aria che in parte tira anche oggi: nostalgia di un calcio più semplice e più italiano.
“Siamo rimasti agli Anni 60-70. Vale quello che mi disse Pelé a Euro 2000: ‘Avete bravi giocatori, ma vi rifiutate di giocare’. Un anno fa rigiocammo la finale del ’94. Franco Baresi si sfogò: ‘Mister, nessuno ricorda più la nostra Nazionale. Eppure perdemmo in finale ai rigori, in un torneo massacrante. Mai una squadra europea era arrivata così vicina a un Mondiale fuori dall’Europa’. Ha ragione. La sofferenza di quei ragazzi fu un’impresa etica. Meritavano un riconoscimento di Stato come altri: una nomina a cavaliere, commendatore. A Pasadena c’erano un sacco di politici. Avessimo vinto, sarebbero tornati in aereo e noi a nuoto. Resta il mio più grande rammarico”.
Quale?
“Non essere riuscito a far capire quanto vale il merito. Vincere non basta, devi meritarlo”.