Ha squarciato quella mielosa narrazione basata – non solo per il Napoli – sulla retorica del gruppo, sulle frasi fatte e false. È sembrato calcio vero
L’occhio di bue puntato su Insigne. Sui suoi plateali e infantili calci alle scritte sponsor del Mapei Stadium. L’analisi del labiale “squadra di merda”. Tutto giusto, comprensibile, finanche doveroso. Perché Insigne è andato sopra le righe. Va da sé che un fuoriclasse non si comporta in quel modo. E Insigne non è un fuoriclasse. Probabilmente nemmeno un campione. È un buon giocatore con sprazzi di altissima intensità, come ieri sera, e momenti bui. In fondo, anche lui ha commesso errori grossolani nei finali di partita, soprattutto se l’avversario si chiama Juventus, e nessuno gli ha detto “giocatore di merda”. Almeno non tra i compagni. Insomma, per essere chiari: ieri Insigne ha giocato benissimo ma non è un calciatore che può permettersi di fare la ramanzina ai compagni. Aggiungiamo: se lo fosse stato, non lo avrebbe mai fatto. Non ricordiamo di scene del genere di Maradona a Celestini o a Dal Fiume. Ma nemmeno da parte di Bagni. Perché Insigne, va da sé, non è Maradona. E non è – ovviamente – nemmeno Bagni.
Ma questo non vuole essere un articolo contro Insigne. Vogliamo esprimere un altro concetto. Ieri Insigne ha incarnato la rabbia di chi gioca a calcio. Si è reso protagonista di scene viste mille e mille volte: dalla spiaggia, ai campi polverosi, ai tornei studenteschi, alle tristi partitelle infrasettimanali. Perché, in tutta onestà, pareggiare una partita così ti fa uscire di testa. Nella tua mente c’è che avevi vinto e invece quando l’arbitro fischia sei sul 3-3. Non ci pensi che quel 2-3 sarebbe stato archiviato alla voce furto con destrezza, o anche alla voce “suicidio”. Succede quando si pratica il calcio perfettino, il calcio dei carini. Perché solo una squadra che gioca il calcio dei carini, poteva perdere una partita simile. Forse erano già molto soddisfatti per aver conquistato un rigore grazie a un’azione nata dalla famigerata costruzione da dietro. Ora stanno bene per un anno.
Sì il Sassuolo ha buttato la partita ma il Napoli l’aveva vinta. E Insigne ha urlato quel che tutti avrebbero urlato. Certo per tutti intendiamo i non professionisti, i calciatori del giovedì, quelli che non hanno la minima idea della cultura sportiva, della cultura del gruppo. Però ha rappresentato il calcio non anestetizzato. La risposta a tutte quelle frasi fatte che ormai sono parte integrante del noiosissimo racconto calcistico, soprattutto televisivo. Perché, diciamolo, la narrazione calcistica televisiva in Italia è evidentemente basata sul presupposto che a casa siamo tutti o quasi deficienti. Deve essere circolato un sondaggio su questo tema.
Quindi Insigne, probabilmente già oggi, tornerà a quelle frasi fatte che suonano false come una moneta di dieci euro (infatti è già intervenuto il suo procuratore). La retorica del gruppo, siamo tutti uniti. Come se – questo è un altro aspetto su cui ci piacerebbe tornare – i calciatori giocassero per amore e amicizia, non perché hanno sottoscritto un contratto e vengono pagati per le loro prestazioni professionali. Tutto si riduce al gruppo, come abbiamo visto ieri sera a Cagliari. La seconda vittoria consecutiva conquistata da Semplici viene spiegata così. Non riusciamo ad arrivarci che si può giocare bene anche schifando l’allenatore, il presidente e magari anche cinque sei compagni. No, tutto è lasciato alla retorica da collezione Harmony applicata al calcio.
Quindi, ricapitolando: Insigne non può permettersi quella sceneggiata, ma vivaddio ha reso il calcio simile a quello che conoscevamo.