Protesta a scoppio ritardato, solo dopo le parole di Fonseca. È il “si salvi chi può” in caso di mancata Champions. Il Napoli aveva chiesto tre settimane fa il rinvio
C’è un bel po’ della mediocrità del calcio italiano in questa protesta a scoppio ritardato della Roma per il rinvio di Juventus-Napoli inizialmente programmata per mercoledì 17 marzo e poi spostata al 7 aprile. È una vicenda che riguarda soprattutto il concetto di assunzione di responsabilità. Il calcio oggi è un’industria, come si ripete a pappardella da bravi scolaretti, e quindi di fronte all’eventuale fallimento aziendale – ossia il mancato raggiungimento di un risultato – i responsabili devono addurre giustificate motivazioni.
Il traguardo aziendale è il quarto posto, l’accesso alla Champions. Le squadre che non lo raggiungeranno – tre tra Juventus Atalanta Lazio Roma e Napoli – dovranno analizzarne le cause e ciascuno comincia a posizionarsi. A cominciare dagli allenatori. Vale anche per casa nostra, basta osservare il can can mediatico sugli infortunati del Napoli, come se fossimo la sola squadra ad averne. Ma anche per gli altri. E pure per Fonseca. Che già si è visto scippare un punto nella prima giornata per il pasticcio della società su Diawara – che è costato il 3-0 a tavolino col Verona – e che certamente ieri avrà protestato per il silenzio del club di fronte al rinvio di Juventus-Napoli. Non fatichiamo a immaginare una scena del tipo: “poi non prendetevela con me se non arriviamo quarti se neanche voi difendete la Roma nelle sedi opportune”.
Solo così si spiega il ritardo di 24 ore nello scoppio della polemica. Venerdì – giorno in cui il rinvio di Juve-Napoli è stato ufficializzato – nessuno della Roma ha fiatato. La protesta è cominciata soltanto ieri mattina, spinta su Twitter dai tifosi e dalle radio giallorosse. E poi ci ha messo il carico Fonseca in conferenza stampa.
C’è però qualcosa che non quadra. La Roma si appella, nella sua lettera, ai quindici giorni di preavviso per chiedere lo spostamento. E ci sembra un’argomentazione deboluccia, basta consultare le rassegne stampa. Il Napoli aveva chiesto il rinvio circa tre settimane fa, non aveva gradito la data del 17 marzo. Per una serie di motivi, tra cui la difficoltà in tempi di Covid, di organizzare tre trasferte in una settimana. E l’Italia non era ancora zona rossa.
In Lega – e anche questo non è un mistero – si era raggiunto un accordo informale (quel che nel Regno Unito definiscono gentlemen’s agreement): ossia, se la Juventus fosse stata eliminata dalla Champions, la partita sarebbe stata spostata, altrimenti si sarebbe giocato il 17 marzo vista la difficoltà nell’individuare un’altra data.
Quindi non è stata affatto uno spostamento a ciel sereno. È stato uno spostamento chiesto con abbondante in anticipo e che era condizionato dall’eventuale eliminazione dei bianconeri. Nel momento in cui la Juventus è stata eliminata dal Porto, Juventus-Napoli è stata spostata.
Il resto, francamente, ha poco senso. Lo sappiamo, lo sapevamo, che la Roma avrebbe giocato il giovedì in Ucraina. Succede perché, per loro fortuna, i giallorossi sono ancora in lizza in Europa League. Allora anche il Milan avrebbe dovuto protestare perché giovedì ha giocato a Manchester e stasera affronta il Napoli a Milano. È noto a tuti che le gare di Europa League si giocano il giovedì. Vale per tutti.
Questa polemica è figlia del classico modo all’italiana di fuggire davanti alle proprie responsabilità. Anche se in questo caso l’allenatore è portoghese e la società è americana. Ciascuno si sta posizionando nel caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo. E nessuno, ovviamente, pensa di farlo con una sana autocritica.