Roy Carroll, il portiere dello United famoso per la “papera-fantasma” del 2005, racconta la sua carriera da depresso alcolizzato: “Mi credevano felice, nessuno sapeva cosa mi succedeva”
Roy Carroll, in Inghilterra, se lo ricordano tutti per una storica papera-fantasma. E’ il portiere del Manchester United che a Old Trafford tolse dalla sua porta una rete del Tottenham al 90′ dentro di un metro abbondante, su un tiro da centrocampo che gli rimbalzò in faccia, senza che gli arbitri si rendessero conto di alcunché. Era il 2005.
Carroll, che nello spogliatoio era considerato un giocherellone, sempre allegro e pronto a far festa, poi tornava a casa, chiudeva la porta ed entrava nel suo inferno personale. Fatto di depressione e alcolismo.
Racconta tutto in un’intervista al Daily Mail.
«Sono ormai 10 anni che non bevo più. È un’abitudine, entri in una routine. Può capitare a chiunque soffra di depressione: solo un paio di birre, qualche drink la sera dopo e più drink quella successiva. E sei dipendente”.
I suoi problemi con la depressione e l’alcolismo iniziano al West Ham nel 2006, quando resta a casa per un infortunio alla schiena.
“Non avevo mai avuto un lungo infortunio prima, e lentamente entrai in un buco più profondo. Non ero mentalmente preparato. Ero solo in una stanza buia e bevevo pesantemente. Non ho avuto nessun aiuto esterno. Nessuno sapeva cosa mi stava succedendo, perché non ne ho mai parlato. Tutti pensavano che fossi il ragazzo più felice del mondo, ma andavo a casa, chiudevo la porta e sbattevo la testa contro il muro, poi bevevo per cercare di dimenticare. Per me, si trattava di sbarazzarsi della depressione. Bevi un sacco e te ne dimentichi. Il giorno dopo peggiora e bevi di più. Non funziona. Sono andato in riabilitazione perché altri volevano che lo facessi: mia moglie, il mio agente e i miei amici. Non vedevo che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, questo era il mio problema più grande”.
Carroll continua a bere mentre è ai Rangers, al Derby e all’Odense in Danimarca. Una carriera da alcolizzato. Ma va totalmente fuori controllo nei nove mesi da disoccupato, dopo aver lasciato la Danimarca.
“Quando giocavo, mi concentravo sul non bere il giorno prima di una partita. Quando ho smesso di giocare e nessuno mi voleva, bevevo quasi tutti i giorni. Avevo molto tempo a disposizione, il mio bere era pazzesco. Se non mi fossi fermato, non sarei qui oggi. Credo che il mio corpo avrebbe ceduto. Non sono mai arrivato al punto di uccidermi. Sono stato abbastanza fortunato da non essere così avanti nella malattia. Ma sarei morto per l’alcol. La roba che bevevo e il modo in cui la bevevo… non mi sarei svegliato una mattina, punto e basta. L’alcol non mi manca, ora. Ma la depressione tornerà di tanto in tanto. Non me ne libererò mai”.