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Il precettore sportivo del Monza: «Insegno ai calciatori a diventare uomini»

Paolo Marchesini racconta a La Verità il suo progetto di «umanesimo sportivo». «Siamo i primi a provarci, in Italia, e i risultati si vedono: meno ammonizioni ed espulsioni, meno proteste, volgarità e provocazioni» 

Il precettore sportivo del Monza: «Insegno ai calciatori a diventare uomini»

La Verità intervista Paolo Marchesini, precettore sportivo del Monza. Ex calciatore, da un anno e mezzo si occupa del settore giovanile del club brianzolo. Ha pubblicato due saggi sull’ermeneutica dell’espressione sportiva. Racconta come è nato il progetto.

«Notai il grave squilibrio tra cura del miglioramento calcistico e noncuranza dell’educazione umana. Intuii che ristabilirne “a valle” il giusto assetto, per un nuovo stile classico di uomo calciatore, avrebbe richiesto “a monte” una vasta opera di contro intuizione. Mancava l’intero sistema: un idoneo campo di attività interdisciplinare con corpus scritto e ratio operativa. Serviva il “primo matto” che lo concepisse e ne realizzasse il pionieristico lavoro di base: anni e anni di osservazioni, audizioni, studi, pubblicazioni, sperimentazioni…».

Nel 2018 lo sbarco a Monza. Il progetto di Berlusconi e Galliani, dice, è

«La provvidenziale opportunità di compiere un’impresa educativa senza precedenti: contribuire alla nascita di un autentico “umanesimo sportivo”».

Spiega quanto è importante, nel Monza, l’educazione dei giovani.

«Come ha ribadito il presidente Berlusconi: “Il calcio non è bello se i ragazzi che lo giocano non si comportano con educazione”. Ne traggo il senso di una verità dal forte impatto strategico: non “benché” ma proprio “perché” attenti all’educare l’uomo, si può ancor più migliorare il calciatore».

Una filosofia di cui rivendica la paternità.

«A farlo in Italia siamo i primi e unici. Per cinque squadre del settore giovanile l’allenamento integra il lavoro di miglioramento del calciatore con un’opera di educazione sull’uomo. Ne condivido i meriti con Roberto Colacone (responsabile delle giovanili dell’Ac Monza, ndr) e i vari staff».

E spiega di che si tratta.

«Il potenziale è inedito: 110 argomenti, 40 esercitazioni, cinque attività educative. Il precettore sportivo è un modello universale di vero educatore. Non insegna né istruisce ma propone e condivide. Non infligge nozioni dalla cattedra ma suscita interesse nel vissuto. Non esercita un mestiere ma testimonia una vocazione».

Cita San Paolo per raccontare qual è il ruolo del precettore sportivo.

«Le cito San Paolo: “Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, perché non succeda che dopo aver predicato agli altri venga io stesso squalificato”. È il ruolo del precettore sportivo».

Con i ragazzi instaura un rapporto alla pari, racconta.

«Nell’educare, l’adulto per primo deve corrispondere al giovane, e non viceversa. Dunque instauro un rapporto alla pari in cui è previsto guardarsi sempre negli occhi e darsi del “tu” come se fosse un “lei”. Deduco sia un approccio collaborativo apprezzato, se oggi opero con 120 giovani dai 14 ai 18 anni».

I risultati si vedono.

«Abbattimento di ammonizioni ed espulsioni. Facilitazione sinergica per mister e staff. Istituzione di incontri mensili con i genitori. Potenziamento fiduciario con le famiglie».

E le ripercussioni si vedono sul campo:

«Meno proteste, volgarità, provocazioni per quanto riguarda il “non gioco”. Più tempo, energia e soluzioni per il gioco. Chi le fasi di “non gioco” le riduce a 300 – in media sono 1.500 a partita – nel 90% dei casi vince. Pure su questo in Italia siamo i primi e unici».

 

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