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Carnevale: «Squalificato per doping, accusato di spaccio, ma resterò sempre quello che correva per Maradona»

Bella intervista del Corsera all’ex attaccante azzurro che compie 60 anni: “Sono cresciuto senza genitori, a 13 anni facevo il muratore e la sera mi allenavo. Sono finito al carnevale di Rio con Maradona”

Carnevale: «Squalificato per doping, accusato di spaccio, ma resterò sempre quello che correva per Maradona»

Andrea Carnevale, “quello che correva per Maradona e Careca”. Quello che fallì Italia 90 per un “vaffa” a Vicini, quello dello scudetto del Napoli “festeggiato per due mesi di fila”, il “marito della Perego”, quello squalificato per doping e accusato di spaccio internazionale. Quello cresciuto senza genitori, che da piccolo faceva il falegname e che un giorno andò al Carnevale di Rio con Maradona. Carnevale compie 60 anni e li racconta tutti in una bella intervista al Corriere della Sera, ripresa da Dagospia.

Il Napoli di Maradona, e Maradona, sono nel suo best of.

«Nell’87 festeggiammo per più di due mesi, mai visto da nessuna parte nulla del genere».

«A me toccava correre (ride, ndr). Giocavo con Maradona, Careca, i primi anni anche Giordano, dovevo lavorare anche per loro. Bianchi mi faceva partire a sinistra, poi spettava a me capire come muovermi guardando gli altri. Mi sacrificavo, ma lo facevo con piacere. Venivo da una piccola realtà, mi sono ritrovato come capitano il più grande di tutti i tempi. È stata una fortuna. Quando veniva in Italia Diego mi chiamava e lo andavo a salutare. Nel 1999 sono stato con lui anche in Brasile, siamo andati al carnevale di Rio. Recentemente era più difficile parlargli. Quando ho saputo dell’operazione al cervello chiedevo di lui a Stefano Ceci (l’uomo che ne curava i rapporti in Italia, ndr). Una settimana prima della sua morte ho saputo che Guillermo Coppola, il suo vecchio manager, lo sarebbe andato presto a trovare. L’ho chiamato e gli ho detto: ‘Abbracciami il grande Diego, digli che gli voglio sempre bene’. Pochi giorni dopo è finito. Il dolore è stato forte. Mi è dispiaciuto sapere che era solo».

«Dopo la finale di Italia 90 mi dovevo sposare. Il matrimonio era già fissato per il 12 luglio, Diego ovviamente doveva venire. Ma dopo la sconfitta con la Germania era disperato. Provai a chiamarlo, ma non mi rispose. L’ho compreso, sapevo bene come era fatto. Era una persona a cui non potevi voler male».

Carnevale racconta del Mondiale del 90′, che doveva essere il “suo” Mondiale e invece finì per essere quello di Schillaci:

«Da titolare fisso, con Vialli, dopo quel “vaffa” mi sono ritrovato in tribuna. Così è finito il mio Mondiale. Poi Schillaci e Baggio hanno fatto grandi cose, ma per me Italia 90 è stato un fallimento».

Oggi lavoro per l’Udinese, fa il capo degli osservatori (“Nel tempo abbiamo scovato gente come Muriel, Sanchez, Handanovic, Allan”), e ricorda quella “leggerezza” che gli costò una squalifica per doping, e l’arresto con l’accusa di detenzione di cocaina nel 2002.

«Ho assunto un farmaco dimagrante che credevo essere legale. Non lo era, risultava come doping. Mi hanno sospeso per un anno. La presi malissimo. All’inizio sembrava una sciocchezza, mi avevano detto che avrei perso al massimo due mesi. Stare fermo un anno è stato durissimo, anche dal punto di vista psicologico. La condanna mi spinse verso il ritiro. Nel 2002 l’arresto. Io uno spacciatore internazionale, mi veniva quasi da ridere. Una vicenda dalla quale sono stato pienamente assolto, ne sono uscito pulito. Ma è stato tutto massacrante. Vivi con un’ombra d’ansia, solo dopo anni riacquisti serenità. Bisogna essere solidi, ben strutturati, sennò rischi di cadere in depressione. Davvero una brutta esperienza, ma ne sono uscito fortificato. Me ne possono dire tante, ma davanti alle difficoltà reagisco bene».

Una corazza costruita durante l’infanzia.

«Sono cresciuto senza genitori. Avevo 13 anni quando mamma è morta. Ma non ho mai avuto paura. In casa eravamo in sette, serviva che qualcuno portasse da mangiare. Mi svegliavo la mattina presto e andavo a lavorare. Ho fatto il muratore, aiutavo il falegname. Poi la sera andavo ad allenarmi. Mia sorella si arrabbiava, mi dava gli schiaffi. Secondo lei avrei dovuto solo lavorare. Ma io ero sicuro: ”Farò il calciatore, tranquilla. Un giorno diventerò famoso”. E così è stato».

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