ilNapolista

Oltre Ibrahimovic c’è di più, c’è il Milan

Il Milan è imbattuto da marzo e se ne frega delle statistiche: corre poco, non fa possesso palla. È semplicemente efficace. E poi sì: ha anche quello lì

Oltre Ibrahimovic c’è di più, c’è il Milan

Per salire sul carro della capolista, avanti 5 o 6 punti a seconda del conteggio “sul campo” o fuori che ognuno tiene per sua soddisfazione, Napoli dovrebbe appigliarsi ad un paio di libri contabili, tra Lussemburgo e società offshore: all’oscura proprietà napoletana del Milan che le inchieste ci raccontano a dispetto delle comunicazioni del Fondo Elliott. Ma le carte sono un trucco, e sportivamente poco importa chi tira le fila del Milan in semi-fuga scudetto. Perché anche solo a ripeterlo – “Milan in semi-fuga scudetto” – crolla tutto il decennale copione della Serie A dominata dalla Juve, con il Napoli pretendente e dietro romane, milanesi e finte-provinciali come l’Atalanta. Il Milan 23 punti dopo 9 giornate, nell’era dei 3 punti, non li aveva mai raggranellati: quello di Ancelotti s’era fermato a 22 punti nel 2005.

Un anno fa, quando il mondo era un posto in cui ci si salutava dandosi la mano senza tema di morire, Stefano Pioli fu scelto per sostituire l’esonerato Giampaolo. Il 9 ottobre 2019, per l’esattezza. Quando la narrazione di questo 2020, tra pandemie e vittime illustri, fila comprensibilmente via sui toni della iattura Maya, ricordiamoci del Milan. A Milanello le cose hanno funzionato al contrario.

Pioli esordì con una sola vittoria nelle prime cinque partite, e un terribile 5-0 subito dall’Atalanta nell’epitaffio del 2019. Ma, appunto, il 2020 che ci avrebbe depressi tutti per il Milan è stato l’anno della rinascita.

L’ultima sconfitta in campionato risale all’8 marzo (1-2 in casa, col Genoa). E nel post-lockdown il Milan non ha mai perso. Solo l’Atletico Madrid, in Europa, tiene lo stesso passo. È troppo per ridurre tutto a Ibrahimovic, per quanto lui ci tenga a risaltare per ingombro.

Quando l’uomo che si è autorappresentato divino persino nella lotta al Covid, s’è accasciato al San Paolo – caldo di una doppietta al Napoli – i più avevano cantato la fine del sogno. Ma il Milan è una strana creatura: funziona lo stesso, pure senza. Nella lettura Ibracentrica è ormai una squadra che ne ha prese le fattezze caratteriali, è come se si sentisse cazziata pure in contumacia. E quindi rende, anche se di punta ci finisce Rebic.

La critica ci arriverà con ritardo, manca un mese all’Epifania, ci siamo quasi. Intanto sta elaborando lutti in serie: la Juve di Pirlo che fosse di Sarri adesso vivrebbe con la scorta; l’Inter “squadra da battere” che in piena sindrome Tafazzi nel frattempo si batte da sola; l’Atalanta in crisi adolescenziale. E il Napoli che è riuscito in un solo anno a passare da plateale candidata-scudetto a formazione che coltiva “lo stare sul pezzo” come massima ambizione. Il Milan è ancora considerato uno sbuffo del caso, nonostante sia – oltre che primo in solitaria – il secondo miglior attacco del campionato e la seconda squadra che tira di più (dopo il Napoli).

Ma le statistiche della Lega dicono di più: il Milan corre poco, è solo dodicesima per chilometri accumulati in campo. Ed è solo nona per possesso palla. Traducendo in concetti: gioca bene, sa muoversi, è efficace.

C’entra Ibrahimovic in tutto questo? Certo, è il fuoriclasse che a 40 anni spacca il campionato con una continuità che i suoi coetanei a stento tengono in Eccellenza e Promozione. Ma c’entra perché – per meriti a lui attribuibili, ma non solo – attorno gli gravita un gruppo di giocatori organizzato come mai negli ultimi 10 anni.

Ancora a luglio al Milan doveva approdare Ralf Rangnick. Il Milan post-pandemico è una specie di miracolo sbocciato da un papocchio, s’è salvato in corner: il filotto vincente di Pioli, il reso preventivo del progetto tedesco, la ricostruzione. Fino alla vetta di cui stiamo parlando. Se non altro questo Milan passerà alla storia come la squadra che aveva battuto il 2020. Hai detto niente.

ilnapolista © riproduzione riservata