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La capo ultrà tedesca: “Il calcio è un rito sociale. Noi tifosi ormai siamo solo consumatori”

Helen Breit ha 33 anni, è una scienziata dell’educazione: collabora con le istituzioni per proteggere la cultura del tifo: “Il Covid ha spazzato via il calcio come luogo di ritrovo”

La capo ultrà tedesca: “Il calcio è un rito sociale. Noi tifosi ormai siamo solo consumatori”

Helen Breit ha 33 anni, è una scienziata dell’educazione, ed è una capo ultrà del Friburgo. È giovane, è donna, è una professionista e, invece di passare il tempo delle porte chiuse ad inveire sui social, partecipa a talk show, rilascia interviste e discute da pari a pari con i funzionari del calcio tedesco come il capo della DFL (la lega) Christian Seifert e il presidente della DFB (la federcalcio) Fritz Keller. Un altro mondo, la Germania.

Breit è passata dalle trasferte per gli stadi della Bundesliga, a fare la portavoce del progetto “Our Curve” un’organizzazione che punta al riconoscimento dei tifosi organizzati come parte del sistema calcio. L’ha intervistata la Sueddeutsche Zeitung.

Il calcio è incredibilmente importante nella mia vita. Al momento mi manca la parte emotiva. Questo perché non posso andare allo stadio, ma anche perché il mondo intero è sottosopra. Per me e per molti altri, tutto ciò che rimane è una visione analitica del calcio. Al momento, quindi, mi occupo esclusivamente della politica dei tifosi a livello nazionale”.

Breit è una vera ultrà:

Mi mancano le tribune e il rumore dello stadio. I 90 minuti per non pensare ad altro che al gioco, al tifo, alle dinamiche del campo. Mi mancano anche gli incontri con altre persone, con i tifosi. La maggior parte non la vedo dal vivo da marzo, me ne sono accorta solo di recente durante un meeting virtuale. Molte routine ormai sono abbandonate, il che è un vero peccato. Spero che non muoiano definitivamente prima che si torni alla normalità”.

L’analisi è lucida:

L’importanza del calcio come sport pubblico è stata fraintesa per troppo tempo. Ci rendiamo conto di quanto sia importante ora che non c’è pubblico dal vivo. Le peculiarità positive del calcio professionistico in Germania devono essere protette di più: abbiamo club con un fortissimo legame con la società. In questo momento sta diventando chiaro che l’idea di questo sport come prodotto non è in linea con i sentimenti delle persone. Per molti il ​​calcio fa parte della vita, ma alcuni funzionari non lo riconoscono“.

Per Breit il “calcio-prodotto” è un concetto autodistruttivo, venderà sempre meno.

“I tifosi non compaiono in questo ciclo perché non possono andare allo stadio. Nella migliore delle ipotesi, svolgono un ruolo di “consumatori”. Dal punto di vista dei tifosi questo calcio è vuoto. Le persone intorno a me si concentrano sullo stadio: il calcio dal vivo, in tempo reale. Guardarselo a casa sul divano è un di più, ma il punto di partenza è sempre stata l’esperienza dal vivo. Alcuni sopportano il calcio in tv, ma le persone come me non ci riescono. Associo il calcio a un rito sociale. Allo scambio con altri tifosi, alla strada o allo stadio. Una cosa che comincia molto prima del collegamento tv. Il calcio come luogo di ritrovo è scomparso. Quella che io intendo per cultura del tifo è stata messa da parte. Il vero quesito è se tornerà come prima, dopo il Coronavirus”.

Karl-Heinz Rummenigge e Hans-Joachim Watzke temono che i tifosi diventeranno “meno emotivi”.

“È del tutto possibile che questa affermazione sia corretta. Ciò porta alla domanda: cosa possiamo fare tutti nel calcio per evitare questa perdita? Ho l’impressione che ci siano molti più suggerimenti e idee da parte dei tifosi su come possiamo contrastare la crescente inversione di tendenza. Sarebbe importante che la lega e i club lavorassero per garantire nuovamente una maggiore parità di opportunità. I campionati nazionali non sono costituiti solo dai grandi club, che già guadagnano tanti soldi in Champions League, ma anche da molte realtà più, a volte più piccole. Se vogliono essere competitive, hanno bisogno di una distribuzione più equa dei soldi”.

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