A Repubblica: «Con lui ho cominciato a sognare. Nel luglio del 1982, dopo la vittoria, con Pablito capocannoniere ed eroe di quel trionfo, ho deciso che sarei diventato come lui»
Un ricordo commosso e carico di gratitudine, quello che ha dedicato a Paolo Rossi Roberto Baggio sulle pagine di Repubblica.
«Avevo 11 anni, e la domenica mio papà Florindo mi caricava sulla canna della sua bici. Venivamo a Vicenza per vedere giocare un ragazzo sconosciuto che si chiamava Paolo Rossi. In inverno, dopo 12 km di pedalate, arrivavo allo stadio Menti congelato. Però guardando quell’attaccante gracile e coraggioso, già più forte di tre interventi alle ginocchia, ho cominciato a sognare anch’io e non ho ancora smesso. Se sono diventato calciatore lo devo a lui: non aveva un fisico perfetto, come me, però mi ha suggerito il valore prevalente del cuore e del cervello».
Rossi lo aspirato ogni giorno, fin dall’autunno del ’76 quando arrivò a Vicenza.
«Segnava un gol e la sua faccia si trasformava. Guardava la folla in festa e rideva, come liberato dal peso di un macigno. Si capiva che era felice per noi, non fiero per la sua impresa»
Un esempio di entusiasmo e forza di volontà sono stati d’esempio per Roberto Baggio perché è stato proprio Pablito a convincerlo a diventare un calciatore
«Luglio 1982. Avevo 15 anni e dopo la vittoria, con Pablito capocannoniere ed eroe di quel trionfo, sono venuto con gli amici a fare festa a Vicenza, in Corso Palladio. Penso che quella notte ho deciso che avrei provato a diventare come lui. Non mi seduceva la gloria, piuttosto l’amore speciale che la gente provava per lui».
Proprio per questo la morte di Paolo rappresenta la fine di un certo tipo di calcio, autentico, fatto di umanità.