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Sacchi: «Giocare contro Diego significava avere una spada di Damocle sul capo»

Alla Gazzetta: «E’ stato un grande  avversario, mai un nemico. I suoi compagni di squadra ne parlavano tutti bene. Diego era sempre il primo a difenderli. Dobbiamo essere felici per averlo visto all’opera»

Sacchi: «Giocare contro Diego significava avere una spada di Damocle sul capo»
foto Andrea Rigano'/Image Sport

Arrigo Sacchi ricorda Diego Armando Maradona in un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Si dice «scioccato» dalla notizia della sua morte.

«Ho pensato che la notizia non fosse vera. Ci ho sperato. Ero davanti alla tv: mi sembrava impossibile. Ma subito dopo sono cominciate ad arrivare le telefonate».

Racconta che, per lui, Maradona è stato

«Prima di tutto un amico. Ovunque capitasse di incontrarci, fosse a Milano Marittima per una cena a base di calcio, oppure ai Mondiali del Sudafrica o a quelli in Brasile, era sempre una festa. Per gli amanti del pallone Maradona è stato tutto. Era il Picasso del calcio. Uno straordinario interprete di questo sport. Con un gesto era capace di rendere bellissima anche una partita insulsa. Ed è stato un grande avversario, mai un nemico».

Ne parla ammirato.

«Gli amanti del calcio lo ricorderanno sempre con piacere: Diego ti stupiva, ti esaltava. La prima volta che ci giocai contro, col Milan a San Siro, loro nei primi dieci minuti non erano riusciti nemmeno a passare la metà campo, il nostro era un dominio assoluto. Ma a un certo punto lo vidi nel lato opposto scartare un paio di giocatori e dare un assist a Careca, che si ritrovò solo davanti al portiere e segnò il gol dell’1-0 per il Napoli. Mi girai verso la mia panchina ed esclamai: “Così non vale, abbiamo giocato solo noi!”. Un’altra volta ricordo che eravamo stati padroni del campo per tutto il primo tempo, tanto che alla fine la gente ci aveva applaudito nonostante il risultato fosse ancora sullo 0-0. Nello spogliatoio guardai negli occhi i miei giocatori e gli dissi: “Ragazzi, qui o ci decidiamo a segnare oppure il gol ce lo fa lui…”. Giocare contro Diego significava avere perennemente una spada di Damocle sopra il capo. Ricordo ancora quel pallonetto di testa a Giovanni Galli in uscita, realizzato da fuori area: incredibile… Conservo gelosamente un pallone firmato da lui, Pelé e Di Stefano. In quel periodo ero al Real Madrid e Butragueño, che è stato un signor giocatore, mi chiese se volevo che aggiungesse anche il suo di autografo. “No Emilio – gli dissi – per te ho un altro pallone…”».

E ancora:

«Quando stava bene fisicamente, Maradona era praticamente immarcabile. Tu pensavi una cosa, lui ne faceva un’altra. La sua è stata una vita di prodezze fuori dalla norma».

Sacchi parla anche del Maradona uomo.

«Un buono, una persona generosa. Ho parlato tante volte con i suoi compagni di squadra, tutti ne conservavano un bel ricordo, tutti ne parlavano bene. E del resto, Diego era sempre il primo a difenderli. Aveva i suoi lati deboli, come tutti del resto. I suoi erano più eclatanti, perché l’uomo era più famoso. E lo hanno sfruttato. D’altra parte, quando uno è generoso, lo è in tutto, e lui si dava senza risparmiarsi e senza avere in cambio alcun beneficio, anzi. Il nostro è un ambiente dove a volte bisogna fare molta attenzione, certe situazioni sono da prendere con le molle».

Il merito di Diego è di aver regalato emozioni alla gente.

«Diego ha illuminato, ha divertito, ha emozionato, ha fatto per il calcio una straordinaria operazione di pubblicità. E quando tu regali emozioni alla gente, questa ti sarà riconoscente per tutta la vita. Dobbiamo essere felici per averlo visto all’opera: pochi in altre epoche hanno potuto godere delle sensazioni che era capace di regalare Diego. La bellezza faceva parte del suo modo di essere. Lui aveva talento e attitudini ed era stato capace anche di migliorarsi perché amava quello che faceva. Non riesco a credere che se ne sia andato».

 

 

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