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La squadra più bella, il Grande Torino vinto, piegato dal destino

RACCONTI DI UN ALTRO CALCIO – Il Dopoguerra, Radio Napoli con Arnaldo Foà, il pareggio per 2-2 al Vomero con lo squadrone di Valentino Mazzola. Poi, la tragedia

La squadra più bella, il Grande Torino vinto, piegato dal destino

I bombardamenti. Nel profondo rifugio sotto il Cinema Augusteo il disegno inciso sulle pareti del bombardiere britannico più ostinato. Le macerie. La vita spezzata. Il pane bianco degli americani, le gallette di Castellammare  e il campionato di calcio cancellato, giugno 1943, il Napoli in serie B, Sentimenti, Pretto, Berra. La guerra e il dopoguerra.

La guerra si portò via l’Eiar e, prima che nascesse la Rai nel 1944, dal terzo piano del Palazzo Singer al Corso Umberto, andava in onda Radio Napoli, buongiorno è Arnaldo Foà che vi parla. Svaniti nel disastro i giornali-radio del regime e la voce stentorea dell’astigiano Guido Notari.

La radio ci riportò sulle strade del Tour e sui campi di calcio. Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi, dal microfono di Mario Ferretti. Antonio Pallante di Bagnoli Irpino sparò a Togliatti, Gino Bartali vinse il Tour. Il calcio e il Grande Torino.

Me ne vado in versi. È Nicolò Carosio che vi parla. Vibrava la voce del palermitano nei microfoni ad asta a bordo campo, Carosio in bilico su una sedia d’occasione, magro, con gli occhiali, a raccontare per radio quei pomeriggi di passione. Cominciava disinvolto il racconto con quella voce inimitabile d’affascinante narratore. Partiti! L’annuncio sintetico dell’inizio del gioco. Andava la palla, andava la voce di Carosio. Scandiva i nomi degli attori. Pandolfini, Annovazzi, Fattori. Rete! La secca annotazione della fine propizia dell’azione. Quasi gol. Il brivido del punto sfiorato, l’ottica illusione, il pallone a lato. I risultati nei notiziari della sera. Negli stadi l’euforia, la guerra finita, la partita. Gassose e noccioline. “Dove sta Zazà”, la marcetta di Giuseppe Cioffi incoraggiava a un pomeriggio d’evasione. Se la squadra del vostro cuore ha vinto brindate Stock, se ha perso consolatevi con Stock. Prima che sugli spalti stretti spuntasse il caffè Borghetti.

Andammo a vedere il Grande Torino al Vomero. Mancavano il portiere Bacigalupo, il centro-mediano Rigamonti e l’ala destra Menti che aveva giocato con la Juve Stabia negli anni di guerra. Il pomeriggio del 15 dicembre 1946. Piani; Ballarin, Martelli; Castigliano, Maroso, Grezar; Ossola, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. Una squadra di assi, una famiglia. Una formazione portentosa che giocava col “sistema”, un modulo più offensivo rispetto al più prudente “metodo”. Una volta aveva vinto ad Alessandria 10-0. A Roma, infilata da un gol di Amadei, si scatenò nella ripresa e fece 7-1. Al Vomero segnò due gol Guglielmo Gabetto, il centravanti con i capelli lisci e nerissimi incollati al cranio, una perfetta scriminatura in mezzo. Il Napoli pareggiò 2-2.

Era una squadra di coppie perfette, la grinta e la classe. Ballarin poderoso, Maroso di purissima tecnica; Grezar tutto forza, Castigliano di gran qualità; Loik lo sgobbone, Valentino Mazzola a tutto campo, calciatore olandese prima degli olandesi. Ne scrivevano Bruno Roghi e Giglio Panza.

Avevamo quella squadra nel cuore prima di dedicarlo completamente alle maglie azzurre del Napoli che ricominciò una nuova storia con Eraldo Monzeglio.

Quel Torino era favola. Diventò leggenda. Verseggio per nostalgia d’amore granata. 4 maggio 1949.

Si spense sul muro di Superga la più bella delle cantilene.
Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.
Fu alla fine degli anni Quaranta.
Una sera di maggio di nubi e di nebbia.
Un cielo invernale quand’era primavera.
Un lampo sulla collina.
Laggiù, Torino ignara sotto la pioggia.
Contro un bastione nemico l’aereo tradito dal buio.
Uccello abbattuto, schiantato, dissolto, le ali spezzate, la carlinga contorta.
Nessun grido, un livido silenzio, la morte.
Solitaria tragedia sul monte della chiesa imponente dei re di Sardegna.
Lamiere schizzate, il fuoco, i corpi mutilati, anneriti degli assi granata.
I ragazzi di capitan Valentino tornavano dalle rive del Tago.
A Lisbona una gara di solidarietà per il vecchio campione Francisco Ferreira che lasciava il pallone.
Amico di Mazzola raccolse i soldi e la ola dell’ultima esibizione.
Sulla generosità granata la sventura spietata.
La squadra più bella, il Grande Torino vinto, piegato dal destino.

La prima puntata: Nereo Rocco e il catenaccio, i whisky del Petisso e il primo libero che fu il papà di Sandro Piccinini

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