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Il giudice Mastelloni: «Gli incidenti di piazza per il Covid mi hanno ricordato i Nap, il terrorismo anni 70»

A La Stampa: «I “moti” di Napoli segnalano la rottura di un equilibrio. Vale anche per il Nord, precariato e disoccupazione sono uguali a tutte le latitudini»

Il giudice Mastelloni: «Gli incidenti di piazza per il Covid mi hanno ricordato i Nap, il terrorismo anni 70»

Su La Stampa c’è un’interessante intervista al giudice napoletano Carlo Mastelloni definito così: “una lunga carriera di inquirente alle spalle, prima alle prese col terrorismo  rosso, poi con gli scenari internazionali”. Nell’intervista, firmata da Francesco Grignetti, ha rivisto un clima sembrava dimenticato ma che lui ricorda benissimo.

«Mi è sembrato di vedere un film in bianco e nero. Anche se la storia non si ripete mai, non possiamo dimenticare i precedenti di quando la piccola delinquenza si politicizzò, e dalle devastazioni si arrivò al terrorismo».

Mastelloni ricorda i Nap (Nuclei armati proletari) e giustamente dice: “La loro è una storia poco conosciuta”.

Nacquero dall’incontro tra alcuni figli della borghesia cittadina, fuoriusciti da Lotta continua, e il proletariato malavitoso della città. Gli intellettuali del gruppo erano affascinati da certe letture sui “dannati della terra”. Volevano creare una miscela sociale esplosiva ed ebbero un buon successo nelle carceri. Il loro primo attentato fu una bomba nella sede della Cisnal, il sindacato vicino al Msi. Proseguirono con rapine, altre bombe, il rapimento di un imprenditore del caffè e il figlio di un illustre clinico, gambizzazioni, e perfino qualche omicidio. La loro vicenda fu velocissima: i Nap erano facilmente infiltrabili, ci furono molte spiate, e la polizia li arrestò in massa. Gli ultimi confluirono nelle Br».

Mastelloni spiega perché racconta, riassume, la vicenda dei Nap.

«Perché non sono ottimista. Un certo proletariato marginale è tentato dalla politica, e vedo in nuce quel che potrebbe succedere. I “moti di Santa Lucia”, a Napoli, segnalano la rottura di un certo equilibrio che bene o male aveva permesso a tanti di sopravvivere. Con il Covid e con le restrizioni, è saltata l’economia del vicolo, costruita su tanto lavoro nero, irregolarità, e precariato. Tutto questo provoca nervosismo e preoccupazione. Letteralmente: non sanno che pesci prendere. Né riescono a vedere la causa di forza maggiore come la pandemia. Ai loro occhi tutto è sempre e soltanto colpa dello Stato. Credo che questo discorso possa valere anche per i giovani delle periferie del Nord, a Torino come a Milano, perché il precariato e la disoccupazione sono uguali a tutte le latitudini».

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