ilNapolista

“Se fossero stati di Piacenza”. Gomorra e il vittimismo geografico in difesa dei carabinieri arrestati

La madre dell’appuntato napoletano prova ad appigliarsi all’alibi Gomorra. In realtà è lo stesso figlio a parlarne mentre si vanta delle proprie gesta

“Se fossero stati di Piacenza”. Gomorra e il vittimismo geografico in difesa dei carabinieri arrestati

La signora Montella non ci crede “a quelle storie che racconta la televisione” su suo figlio Giuseppe, detto Peppe. Perché più che l’appuntato leader del gruppo di carabinieri eversori che – stando all’inchiesta della Procura e della Guardia di Finanza – hanno trasformato la caserma di Piacenza in un covo di spacciatori, estorsori e torturatori, Peppe è “un bravo ragazzo”. Di quelli che “salutava sempre”, “sempre sorridente”. Nel caso dell’appuntato Peppe Montella, “era laureando in giurisprudenza”, ad un passo dal titolo di studi salvacondotto morale. Mica solo carabiniere, ove mai non fosse sufficiente l’Arma a garantirne la rettitudine.

Ma nelle ricostruzioni di questa incredibile vicenda, resta una frase. La signora Montella dice:

“Tirano fuori Gomorra perché veniamo da Napoli. Se Peppe era di Piacenza non lo dicevano che era Gomorra”.

Gomorra. Sempre Gomorra. La signora attribuisce alla stampa il richiamo facilone, in realtà Gomorra spunta dalle intercettazioni, dal racconto di un pestaggio fatto dagli stessi protagonisti:

“Hai presente le scene di Gomorra, guarda che è stato uguale, tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato”.

E invece Gomorra diventa l’appiglio per il vittimismo riparatore. Il mirino puntato su un mignolo che indica una luna enorme: se la prendono con noi perché siamo napoletani. La mamma dell’appuntato Montella intende: fosse stato un carabiniere di Piacenza a farsi ricco spacciando erba e coca, pestando spacciatori concorrenti, a comprarsi macchinoni e moto di lusso abusando del proprio potere, in una provincia colpevolmente omertosa, nessuno avrebbe detto niente.

Mentre invece è proprio suo figlio, e il suo piccolo circolo di criminalità spicciola, che si atteggia a boss. Che usa il riferimento cinematografico con orgoglio per narrare le sue gesta anche al figlio di 11 anni, che giustamente chiede, si fomenta, vuole i particolari.

Gomorra è un alibi, ormai. La rappresentazione caricaturale di una certa malavita, per di più interpretata da “uomini dello Stato”, che viene usata come scudo retorico per dirci distanti, difformi da quel fumetto, mentre quelli che difendiamo – i nostri “bravi ragazzi” emigrati al nord per trovare lavoro – ne abusano nell’imitazione patologica.

La deformazione dello specchio: non ci vergogniamo di scoprire (una volta di troppo) che se arrestano un carabiniere a Piacenza quello puntualmente è napoletano, no. Magari molti di noi sì. Ma ci dà comunque terribilmente fastidio la gestione territoriale della narrazione: ecco qua, visto che è napoletano ormai siamo tutti quanti Gomorra.

La madre, nel caso specifico, si comporta da madre. Ma il giochetto della deviazione di responsabilità non è nuovo, e funziona sempre a meraviglia. Dopo un primo attimo di comprensibile stupore, scatta un clic, un automatismo che ci mette a protezione del luogo comune. Difendiamo la città nostro malgrado, a nostra insaputa persino. Perché ci ostiniamo a buttarla sulla geografia, e non sul pudore.

ilnapolista © riproduzione riservata