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“Spero che ci denuncino, quello che è successo deve finire agli atti”

Repubblica ha intervistato il dottor Riccio, primario di rianimazione dell’Ospedale di Castelmaggiore che assistette Welby nella sua battaglia per il diritto all’eutanasia: “Abbiamo intubato solo uno su tre che ne avevano bisogno”

“Spero che ci denuncino, quello che è successo deve finire agli atti”

Che nelle terapie intensive di Bergamo, Brescia, Cremona, per i medici sia arrivato – più volte – il momento di scegliere chi salvare e chi “condannare”, è ormai un pezzo della narrazione dei due mesi che hanno travolto la sanità lombarda. Ma non è “Abbiamo intubato un solo paziente su tre che ne avevano bisogno“, il titolo dell’intervista a Repubblica di Mario Riccio.

Riccio è il rianimatore che nel 2006 assistette Piergiorgio Welby, malato di Sla, verso la sua fine. Lavora come primario di rianimazione a Casalmaggiore, in prima linea nell’emergenza Covid, e dice: “Spero che ci denuncino. Vorrei che quel che è successo venga messo agli atti, diventi documento storico”.

Quel che è successo è, appunto, storia. Che Riccio racconta così:

“No, dare a tutti un posto letto in terapia intensiva non era possibile. Chi sostiene il contrario crede alle favole. Le nostre risorse non erano assolutamente adeguate”. “Ci siamo trovati di fronte a scelte difficili”. “Era materialmente impossibile intubare tutti. Le centraline che distribuiscono l’ossigeno nell’ospedale fischiavano, talmente intenso era il flusso. Le pompe non ce la facevano a mantenere la pressione, tanti erano gli attacchi ai muri che usavamo”.

Riccio dice che nella “scelta” non hanno mai preso decisioni affrettate, che si sono appoggiati alle linee guida della Siaarti (“che se finiremo in giudizio, citeremo a nostro sostegno”), e che non hai mai agito solo in funzione dell’età, ma della speranza di vita.

“Abbiamo imparato presto che gli ultraottantenni con due o più patologie non avrebbero avuto chance. Spesso sulla loro cartella clinica abbiamo dovuto scrivere che mancavano le indicazioni per l’intubazione”.

Riccio è anche consigliere dell’associazione Luca Coscioni e ha molto a cuore la tematica del fine vita, e della sofferenza:

Non avevamo i mezzi per salvarli tutti. Ma li avevamo, e li abbiamo sempre usati, per alleviare la loro morte. Nessuno se ne è andato da solo, senza la nostra assistenza, e nessuno se ne è andato senza tutte le cure palliative di cui aveva bisogno”.

La critica al sistema sanitario lombardo è palese:

Vorrei che la Lombardia rivedesse il suo rapporto con il privato. Il 40% della sanità è in convenzione, secondo il modello formigoniano. Proprio mentre lo tsunami ci travolgeva e noi non sapevamo come fare, ci sono state tante case di cura piccole, ma pur sempre dotate di chirurgie, che sono rimaste ai margini. Ogni sala avrebbe potuto ospitare due pazienti”.

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