ESPN racconta il progetto “The Bubble”: 1.500 persone tra giocatori, arbitri, staff e famiglie, isolate dal mondo per tre mesi almeno per non fermare la più grande industria sportiva del pianeta
Prendiamo tutta l’NBA, tutte le squadre, i migliori giocatori di basket al mondo, gli staff, gli arbitri, e li chiudiamo nel Disney World Resort di Orlando, o all’MGM di Las Vegas. E li lasciamo lì fino a quando non hanno concluso la stagione. Negli Stati Uniti la chiamano The Bubble, la “bolla”.
Un’isola del basket americano è l’ipotesi più accreditata per portare a termine il campionato, a pandemia ancora in corso. Quando in Italia parliamo del calcio come di “un’industria” che non può fermarsi, non abbiamo idea delle proporzioni: in confronto all’NBA la nostra Serie A è una piccola impresa di famiglia.
Visti gli interessi in gioco, la lega s’è imposta di provare in tutti i modi ad andare avanti. Anche se non si sa bene quando e come. Il “come” potrebbe essere appunto la “bolla”. Un mostro organizzativo e logistico senza precedenti di cui ESPN, in un lungo articolo realizzato sentendo protagonisti (allenatori, arbitri e dirigenti) ma anche esperti (specialisti di malattie infettive, produttori tv e dirigenti delle strutture alberghiere), ha cercato di descrivere il funzionamento.
Tutti chiusi dentro, dunque. Questa è l’idea. Ma dove? La NBA, secondo le parole del commissioner Adam Silver, per ora ha ascoltato le varie proposte arrivate. In pole position c’è Las Vegas, con il colosso alberghiero MGM che si è già detto pronto, e il World Disney Resort di Orlando, che potrebbe chiudere i confini del parco e ha campi già cablati. Inoltre la NBA e Disney – proprietaria oltre che del parco anche di ABC e ESPN che detengono i diritti tv delle partite insieme a TNT – hanno da sempre rapporti commerciali molto stretti.
Al momento della sospensione restavano da giocare ancora la bellezza di 259 partite di regular season, più quattro turni di playoff (al meglio delle sette gare). Tradotto in tempo, parliamo di circa tre mesi di partite, a cui va aggiunto un periodo di preparazione di almeno 3 settimane per consentire ai giocatori di ritrovare una forma accettabile. Verrebbero disputate otto partite al giorno (quattro partita a campo, su due campi, quindi 33 giorni almeno per completare la regular season, che salirebbero a due mesi compresi i playoff.
Ma non è finita. Visto che non solo di basket si vive, anche all’interno della “bolla” ci dovranno essere addetti alle pulizie, camerieri, cuochi, e altri impiegati alberghieri. Il conto finale stimato è di circa 1.200 persone “essenziali”, ai quali si aggiungeranno le famiglie dei giocatori, che hanno già rifiutato la possibilità di una quarantena di mesi senza figli e mogli. Insomma: 1.500 persone chiuse nella “bolla”.
C’è infine la grande questione tamponi. Che è poi il nodo sanitario da sciogliere prima di poter tornare in campo. E’ un problema per tutti gli sport e le leghe che stanno valutando il modo di riprendere l’attività. Gli esperti stimano circa 15.000 test necessari per portare a termine la stagione “in sicurezza”. Un numero enorme, soprattutto perché fuori alla bolla c’è ancora carenza, e l’opinione pubblica non lascerebbe passare indenne una “espropriazione” per permettere ai cestisti privilegiati di giocare a basket. L’NBA sta collaborando con laboratori e sviluppatori per aiutare a produrli per il resto della popolazione. Ma la disponibilità è ancora lontana dal raggiungere livelli che permetterebbero al basket di tenerne per sé 15.000.