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Il calcio non usi la (molto presunta) astinenza dei tifosi per salvare i bilanci

Il nuovo mantra è: “il calcio è un’industria”. La moda, che è un’azienda vera che in Italia vale 96 miliardi, ha obbedito al governo senza tante storie

Il calcio non usi la (molto presunta) astinenza dei tifosi per salvare i bilanci
(Hermann / KontroLab)

La differenza tra Ronaldo e Marco Bizzarri

Alla domanda Chi è Cristiano Ronaldo? chiunque in Italia, anche la massaia di Voghera che del calcio non si interessa, sa rispondere. Al quesito Chi è Marco Bizzarri?, invece, il pubblico degli informati si restringe grandemente, mentre la possibilità che lo sappia la suddetta massaia si riduce al lumicino. Tra la popolarità dei due, in effetti, c’è un abisso. Ma il primo è il volto più noto di un movimento calcistico, come vanta la Lega Serie A, che “produce ogni anno 3 miliardi di ricavi, generando un indotto di 8”. Il secondo è l’amministratore delegato di Gucci, marchio che nel 2019, da solo, ha fatturato 9,6 miliardi. Anche tra il loro peso specifico, insomma, c’è un abisso: ma questa volta in vantaggio c’è Bizzarri.

Che in Italia la priorità dei padroni del pallone sia salvare il salvabile, cioè fatturare il fatturabile, è ormai pacifico. E che gli stessi padroni siano disposti al definitivo scollamento sentimentale con il pubblico pur di raggiungere l’obiettivo, pure. Ma va notato che siamo davanti a una dinamica che va oltre il semplice svelamento del meccanismo “il calcio è business”. Si sta rovesciando il piano. Ora il livello: “Fateci fare business, siamo pur sempre quelli del calcio”.

La Serie A vuole darsi un tono

La Serie A sta, ormai platealmente, usando la propria popolarità come leva presso il Governo per guadagnarsi un trattamento extra-territoriale. I club in questo modo non stanno solo calpestando la sensibilità dei tifosi, se così vogliamo dire. Stanno cercando di farsi riconoscere una posizione di privilegio nei confronti di tutta la società italiana, condannata dal Coronavirus non solo al lutto, ma anche alla recessione economica.

Quando la Lega Serie A e i suoi alfieri snocciolano i numeri del giro d’affari, vogliono darsi un tono. “Non siamo solo un gioco, siamo un’industria”, ha scritto Zazzaroni. Quindi il Governo ha il dovere di trovare la soluzione che consenta alla giostra di andare avanti, è il messaggio, costi quel che costi. Ecco, ciascuno la pensi come vuole di come da Roma gestiscono la crisi. Ma rimane che, in questo senso, tutti i settori economici del Paese sono nella stessa posizione, dall’industria pesante alle società di servizi.

La moda vale 96 miliardi

La moda, per tornare a Gucci, in Italia vale nel complesso 96 miliardi. E non ci lavorano solo stravaganti designer, ma decine di migliaia di impiegati, artigiani e operai più o meno specializzati. Vera e propria manifattura. Eppure non per questo ha avuto trattamenti di privilegio: ha chiuso le fabbriche in tempi di lockdown, le ha riaperte con le premure del caso con la Fase 2 e, ora, tira su le serrande dei negozi con le limitazioni imposte dall’epidemia. Seppure il business preferirebbe altre snellezze procedurali.

Nessuno si augura il collasso del movimento calcistico italiano, of course. Ma è comprensibile perché molti non provino l’urgenza di guardare in tv sfide tra gente che esulta a distanza, ma si suda addosso nelle marcature. La Serie A giochi la sua partita per la sopravvivenza. Ma non dica di farlo per i tifosi e, soprattutto, non usi i tifosi per guadagnarsi una posizione di vantaggio. Rischia di fare la figura meschina di quei genitori che strumentalizzano i figli durante le cause di separazione.

E badino bene, i signori del calcio, che il problema non è puramente astratto. La recessione porta con sé il rancore sociale. Quando nel 2018 i Cobas organizzarono le proteste a Pomigliano contro l’acquisto del summenzionato Cristiano Ronaldo, il fatto dai giornali fu trattato per lo più come notizia di colore. Ma, davanti a un’ulteriore smobilitazione di FCA Italia per la crisi del mercato dell’auto, il prestigio del portoghese potrebbe non bastare più a fare tutti contenti.

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