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Gli ultras ci sembrano gli unici ad aver capito. Il calcio sta giocando col fuoco

La Serie A è un’industria piena di debiti, che non riesce a garantire l’albergo per 50 persone. Mentre l’Nba si trasferisce armi e bagagli a Disneyworld. E che si basa su una menzogna: adesso siamo alle smascheramento

Gli ultras ci sembrano gli unici ad aver capito. Il calcio sta giocando col fuoco

Sull’inserto sportivo del Foglio c’è la rubrica del giornalista di Sky Sport Alessandro Bonan. Come qualche giorno fa Zazzaroni sul Corriere dello Sport, anche Bonan non ha gradito la posizione degli ultras. Non l’ha condivisa.

Il titolo dell’articolo di oggi è “Come un congiunto”. Il tratto è lieve, tranne nel passaggio sugli ultras. Lì c’è un ispessimento della trama narrativa (la diciamo simpaticamente alla Bonan). Non può mancare il riferimento malizioso al ministro Spadafora (il più odiato dai giornalisti sportivi) che

dopo settimane di sovraesposizione, ora si è un po’ defilato. Attende, prudente come un bambino in riva al mare, che l’onda delle polemiche e del contagio arretri, dopodiché qualcuno, forse lui stesso su Facebook o a radio vattelapesca si pronuncerà o meno sul ritorno del campionato anche in Italia.

Bonan poi si sofferma sulle due categorie dell’opinione pubblica: quelli che vogliono il ritorno del calcio e quelli che no (“chi sente la mancanza del fruscio del pallone che rotola sull’erba e chi si tappa le orecchie per non  avvertirne nemmeno il rumore lontano”).

E nella seconda categoria

si rifugiano curiosamente gli ultras delle curve. Dicono che non si può giocare a calcio mentre la gente muore. Rispettabilissima considerazione se non arrivasse da un settore che molto spesso, ai morti per disgrazia e violenze varie, ha rivolto cori vergognosi.

Qualche esempio c’è stato (ricordiamo Ciro Esposito ad esempio, i fischi dei napoletani a Chinaglia e altro che ci sfugge). Però va detto che in realtà le curve d’Italia hanno un vero e proprio culto dei defunti. Basta andare una volta allo stadio per scoprire che prima e durante la partita, in curva, viene ricordata almeno una vittima. Quindi, è vero l’opposto.

Noi, che siamo sempre stati profondamente distanti dagli ultras, ma proprio anni luce, crediamo che stavolta siano gli unici ad aver compreso che lo smascheramento del calcio come industria potrebbe – il condizionale d’obbligo – avere conseguenze sul fascino del calcio. Lo dicono a modo loro, ma colgono a nostro avviso un punto. Il calcio, l’industria calcio, si basa su una sottile menzogna. Si converrà che è un’industria particolare. Ci si illude che i nostri eroi giochino per la maglia, per l’amore dei tifosi. È il motivo dello straordinario successo del calcio (peraltro in netta flessione tra i giovani). È un inganno noto a tutti. Però – è acclarato – una cosa è sapere che il partner ti tradisce e un’altra è ascoltarlo dalla sua bocca. E stavolta c’è stata la confessione. In Germania, ad esempio, c’è un ricco dibattito sul tema. Qui sul Napolista abbiamo ripreso l’intervista a un esperto tedesco di marketing. Intervista molto interessante. Da noi il dibattito è molto più asfittico. Le posizioni decisamente più rigide. Come se al fondo ci fosse fondamentalmente una paura del futuro. Paura economica. Legittima. Che però altera il senso della discussione.

L’Nba, che è un’industria vera, si è fermata al primo contagiato. L’Nba non ha avuto le sue Atalanta-Valencia né le sue Liverpool-Atletico Madrid. Leggere Ceferin che dice «il rischio zero non esiste» fa venire il prurito alle mani. L’Nba sta pensando di riprendere. Sta pensando di farlo portando tutti a Disneyworld, noleggiando una fetta del globo. Ragionano da imprenditori. Fanno il conto economico delle loro operazioni. Così agisce un’industria.

In Italia la Serie A batte i piedi e frigna perché non è in grado nemmeno di sistemare cinquanta persone in una struttura, figuriamoci spostare squadre, staff, familiari e compagnia bella a Orlando. In Germania hanno serenamente garantito la quarantena negli alberghi. Ma di quale industria parliamo? Quali sono i manager che gestiscono il calcio italiano? Non ha torto Zeman quando dice che è un’azienda che genera più debiti che ricavi. Se il sistema non si regge, e non si regge (basta dare uno sguardo ai bilanci o ricordare le vergognose plusvalenze ipergonfiate, giusto per fare un esempio), è destinato ad andare sbattere sulle onde del mercato che lo riportano sulla retta via. Come si chiamano? Shock economici? Persino l’Economist scrive che lo sport non può prescindere dal suo pubblico. A noi pare, invece, che il calcio – e tutti coloro i quali partecipano a vario titolo al carrozzone – si sia tappato le orecchie ed emetta suoni sconsiderati ad altissimo volume. Vuole solo che tutti torni come prima, e non perdere nulla. Un po’ come i bambini capricciosi. O come i grandi che non vogliono diventare adulti.

 

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