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La riabilitazione postuma di Benitez l’ex odiato chiattone

L’allenatore spagnolo compie sessant’anni. Dopo averlo avversato in ogni modo, oggi finalmente Napoli gli riconosce il merito. Portò la mentalità da grande club ed è stato l’ultimo a vincere

La riabilitazione postuma di Benitez l’ex odiato chiattone

Rafa Benitez compie sessant’anni. Nella sua carriera, ci sono soprattutto il Valencia e il Liverpool. È in quei due club che l’allenatore spagnolo ha costruito la propria fortuna. Con due successi storici. In Spagna mai più ripetuti. A Liverpool dopo quindici anni.

Fu il primo colpo “europeo” di Aurelio De Laurentiis. Scelse il grande nome – reduce da un’esperienza controversa e non  felice all’Inter – per sostituire Mazzarri che aveva portato la squadra al secondo posto. Un canovaccio che si è ripetuto anni dopo, in forme diverse ovviamente, con l’avvicendamento Sarri-Ancelotti. Anche le dinamiche dell’addio furono uguali. Pure a Mazzarri Napoli cominciava a stare stretta. Andò all’Inter pensando che il meglio dovesse ancora arrivare. E per addomesticare la piazza, De Laurentiis chiamò lo spagnolo.

Benitez arrivò a Napoli nell’estate del 2013. Dovette costruire la squadra del dopo Cavani. Spinse il Napoli ad acquistare tre calciatori dal Real Madrid. Non era mai accaduto. La stella era Higuain. Ma c’erano anche Albiol e Callejon. In una delle sue prime conferenze stampa, disse che Callejon avrebbe segnato venti gol. Le risatine di scherno si sprecarono. A fine anno furono venti. Diede una seconda vita calcistica a un portiere che sembrava dimenticato: Pepe Reina. L’anno dopo, sia pure con una campagna acquisti ridotta al minimo, portò a Napoli – tra gli altri – Koulibaly, Jorginho, Gabbiadini. Senza dimenticare Zapata anch’egli all’epoca quasi deriso. E fu costretto a giocare senza Reina: errore gravissimo di De Laurentiis.

Benitez anticipò quel che è poi accaduto con Ancelotti. Fu il primo a vivere l’astio profondo della città – soprattutto del mondo delle professioni, della Napoli benestante – nei suoi confronti. A Napoli visse la sua condizione di straniero. Provò a far passare concetti lunari, come quello dello spalla a spalla. Cercava di far comprendere quanto influisse l’ambiente sui risultati sportivi. Non utilizzava il termine popolo, considerava il calcio bugia eppure non cercava mai scorciatoie populistiche. Il che a Napoli equivale a un suicidio. Arrivò addirittura a dire – in un forum al Corriere del Mezzogiorno – che Napoli avrebbe dovuto smettere di considerarsi diversa. Il peggior crimine possibile da queste parti. Interminabili ed estenuanti le discussioni sullo schema di gioco. Il centrocampo a due vissuto come una bestemmia, un affronto.

La vulgata – identica a quella per Ancelotti – racconta che fu accolto in pompa magna e poi via via ostracizzato esclusivamente per i risultati. Falso, ovviamente. Erano un rifiuto e un’insofferenza antropologici. Gli ultimi trofei il Napoli li ha vinti con Benitez. Saranno coppette, come le considerano a Napoli, ma con lui gli azzurri vinsero una Coppa Italia (nell’infausta notte di Roma) e una Supercoppa. Non si racconta mai dell’arbitraggio che ci costò la vittoria nella semifinale d’andata d’Europa League contro il Dnipro. Europa League anch’essa considerata un trofeo minore.

Come avvenuto con Ancelotti, la svolta in negativo del suo rapporto con De Laurentiis ci fu tra la prima e la seconda stagione. Napoli visse un’estate alla ricerca di un centrocampista da piazzare davanti alla difesa. Si partì da Khedira, si vagheggiò di Mascherano, si finì a David Lopez che al suo arrivo venne insultato sui social. I preliminari di Champions li giocò Gargano. Il Napoli fu eliminato dall’Athletic Bilbao in una doppia sfida in cui il Napoli sbagliò gol al San Paolo e commise errori clamorosi al San Mames.

La seconda fu una stagione completamente controvento. Col problema del portiere: Rafael non acquisì mai sicurezza, tranne rari lampi come la serata di Doha, e venne sostituito da Andujar. Con Higuain malmostoso. Il campionato fu mediocre. In Coppa Italia l’eliminazione dalla Lazio portò al ritiro punitivo – altra analogia con Ancelotti – e alla frase di De Laurentiis sulla città rapace e alle allusioni sulla vita notturna dei calciatori. L’indiziato sembrava Higuain.

Prima di andar via, Benitez depositò un altro lascito. Quel “calcio italiano di merda” pronunciato mentre lasciava il terreno di gioco di Parma – recepito da un solerte osservatore della Lega – che gli costò una giornata di squalifica. Infine la sconfitta in caso con la Lazio, il rigore sbagliato da Higuain e l’addio al terzo posto. Il giorno dopo, Rafa volò a Madrid tra il livore della stragrande maggioranza dei tifosi del Napoli e dei giornalisti (più o meno gli stessi che poi hanno osteggiato Ancelotti, a conferma che la questione è per così dire ideologica, o se preferite culturale). È impossibile rendere quel clima d’odio. Benitez era il chiattone. Di merda ovviamente. Lo straniero che aveva osato offrire un punto di vista diverso ai napoletani. Che non si era messo in adorazione della città e del popolo più bello del mondo.

Per mesi, forse anni, il nome di Benitez è stato impronunciabile. Il suo esonero al Real venne accolto da un’ovazione. 

Poi, come spesso capita – a Napoli quasi sempre – è partito un processo di riabilitazione. Il passato è sempre più bello. La piazza si è accorta che il Napoli, il grande Napoli dell’era De Laurentiis, almeno quello post-Cavani, è stato costruito dallo spagnolo. Che gli ultimi trofei sono stati alzati con lui. Ormai più di cinque anni fa.

Benitez è l’uomo che ha cambiato mentalità al Napoli. Mazzarri ha fatto grandi cose, anche grandissime visto il materiale a disposizione, ma chi ha ampliato gli orizzonti del Napoli è stato Benitez. Con gli acquisti, col modo di pensare, con la visione del calcio. Per la prima volta, con Benitez, il Napoli non scelse più gli obiettivi. Si partiva per competere sia in campionato sia nelle coppe. Portò il Napoli tra le prime quindici del ranking Uefa.

Nella memoria restano le vittorie sul Borussia Dortmund di Klopp – con una magica punizione di Insigne – una indimenticabile  per 2-0 sulla Roma (con un primo tempo da far rivedere al cinema) e ovviamente il 4-1 a Wolfsburg.

Se oggi il Napoli è ancora lassù, tra le prime del calcio italiano, è fondamentalmente grazie a Benitez. Che, in cambio di insulti odiosi, ha lavorato per costruire robuste fondamenta. Oggi se ne sono accorti quasi tutti. Il chiattone di merda, che lasciò il San Paolo tra i fischi, oggi sarebbe accolto da un’ovazione con persone che si darebbero di gomito e si spellerebbero le mani. Come disse quel tale che partecipò come volontario alla Grande guerra: “La grande sconfitta in tutto è dimenticare”.

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