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La lezione de “Le ali della libertà” per noi in quarantena

Un vecchio film in programmazione su Netflix. Andy sembra dirci che non bisogna abbandonare un progetto ed un senso e se il tempo del carcere è per definizione infinito

La lezione de “Le ali della libertà” per noi in quarantena

Ho visto per la prima volta in questa quarantena infinita il film “Le ali della libertà” nella regia di Frank Darabont che ne firma anche la sceneggiatura traendola dal libro di Stephen King che ne scrive anche il soggetto. La storia – il film è del 1994 – è nota ai più: nel penitenziario di Shawshank viene rinchiuso Andy Dufresne (Tim Robbins) il vicepresidente di una Banca del Maine che deve scontare due ergastoli per il duplice omicidio di sua moglie e dell’amante. In galera Andy fa amicizia con Ellis Boyd ‘Red’ Redding (Morgan Freeman) che è colui che procura come un buon magazziniere tutto quello che gli viene richiesto.

Il film – da segnalare le musiche di Thomas Newman – è incentrato quasi esclusivamente sulle vicende carcerarie ed al di là del finale che non svelo – c’è su Netflix per chi è abbonato – ne parlo in questo tempo costretto per dare spazio ad alcune considerazioni sul tempo da reclusi – senza colpe – che stiamo vivendo.

Andy infatti è innocente ma in carcere oltre a subire vessazioni da ‘vedove’ insaziabili decide di non lasciarsi andare e di avere un suo progetto: quello di costituire una biblioteca carceraria che consenta anche di essere un granaio per chi decidesse di acquisire un titolo di studio da spendere poi fuori.

Il film al di là del merito costituisce anche un vademecum per qualsiasi altro genere di reclusione forzata. Andy sembra dirci che non bisogna abbandonare un progetto ed un senso e se il tempo del carcere è per definizione infinito non è giusto utilizzarlo in maniera prodiga o lassista. E soprattutto non bisogna lasciare andare via in questo tempo un profilo di sogno e di speranza “che è una cosa buona”.

Mi direte: è un film e la realtà è altra… Non è così: chiunque abbia dimestichezza con qualsiasi espressione artistica sa bene che essa funge da serbatoio immaginativo anche per la vita reale. Del resto cosa sarebbe la nostra vita senza l’immaginazione? Una routine senza senso che equiparerebbe il tempo vissuto fuori da quello vissuto dentro: secondo la nota definizione di Adriano Sofri nel testo “Le prigioni degli altri (Sellerio)”. Per dare senso quindi a questo tempo nuovo ed inedito per le sue caratteristiche vediamoci “Le ali della libertà” per prendere appunti sul come vivere – e trarne frutto: che è quanto dire coniugare il difficile verbo sperare – questo frangente concentrazionario della nostra vita di reclusi privilegiati.

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