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The Athletic: ora impera lo sdegno per il calcio miliardario, dopo averlo alimentato per decenni

Oggi la retorica contro i calciatori e il sistema che prova a riorganizzarsi. In pochi ricordano che la Premier (e non solo) è un’industria.

The Athletic: ora impera lo sdegno per il calcio miliardario, dopo averlo alimentato per decenni

“Il calcio è solo un gioco; è frivolo, irrilevante, non è nemmeno la cosa più importante delle cose meno importanti”. Ma “demonizzare il calcio durante la crisi mondiale oltre a essere prevedibile è anche miope”.

È come se la pandemia e la crisi economica susseguente avessero risvegliato il mostro della retorica dell’indignazione, e il calcio miliardario ne è diventato ben presto la vittima preferita. Su The Athletic Adam Crafton scrive una lunga arringa difensiva del pallone, portando come esempio la ricchissima Premier League. Ma ovviamente vale per la Serie A, per l’Uefa, per il sistema-calcio in generale.

“Assistere allo sdegno per il calcio e i suoi protagonisti nelle ultime settimane è stato sconcertante”, scrive. “In sole tre settimane i rapporti tra pubblico e sportivi sono già sfilacciati. I calciatori non possono più farci ridere, piangere, urlare, ora sono ridotti alle loro peggiori caratteristiche, hanno il segno dei dollari sulla schiena e fuori ci sono i forconi pronti a cacciarli. Sui social media, in particolare, la demonizzazione di questo sport si è intensificata”.

E’, appunto, la retorica del ricco che non fa mai abbastanza per aiutare il povero. Per cui se il portiere del Manchester United David De Gea dona 275.000 sterline ai servizi di emergenza di Madrid online, gli dicono che avrebbe dovuto dare di più, o se Pep Guardiola dona 1 milione di euro al soccorso catalano gli rinfacciano di cercare di farsi pubblicità.

Ma di più: l’oltraggio più grande è riservato a coloro che lavorano per organizzare il futuro del calcio. Come osiamo discutere sulla classifica finale della stagione in corso? Come osiamo pianificare il riavvio del calcio? Come osano essere così egoisti?

The Athletic ricorda che la Premier League “è molto più di un paio di persone che calciano una palla su un campo: sono le centinaia di migliaia di persone impiegate direttamente e indirettamente, i miliardi di sterline pagati al fisco. È il sistema di trasporto che usano i lavoratori e i tifosi, sono i punti di ristoro che beneficiano degli eventi, gli hotel che dipendono dal turismo”.

La crisi colpisce tutti. Al gradino più basso della scala c’è la minaccia esistenziale. Ma “anche in cima all’albero, le ripercussioni economiche saranno gravi. E ogni azienda del mondo in questo momento si sta organizzando per capire come sopravvivere alla pandemia, e magari prosperare nelle sue conseguenze. Sarebbe negligente non farlo”.

“Nessuno dice che dobbiamo tirare fuori i violini e suonare una ninna nanna per i calciatori i cui stipendi andranno dimezzati, ma dovremmo ricordare che tutti noi, come tifosi, come media, come telespettatori, abbiamo nutrito il mostro della Premier League per diversi decenni. Certo, molti lamentano la disconnessione del calcio dalla realtà. Eppure gli stadi sono pieni, la merce viene venduta a prezzi record, i diritti tv hanno raggiunto cifre con sempre più zeri.  E il calcio, con tutti i suoi molti difetti, ha mantenuto il fascino per il talento, e per la sua meravigliosa capacità di mobilità sociale. Quando torneremo alla normalità, qualunque sia la normalità, vogliamo di nuovo tutto questo. Sì, i calciatori possono essere distanti, distaccati dalle loro comunità e dolorosamente inconsapevoli di quanto possano apparire sciocchi. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il costo della rovina finanziaria della Premier League riguarda tutti ed è molto più che le facce sui cartelloni pubblicitari”.

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