ilNapolista

Il posto di Dries Mertens nella storia del Napoli

Il rapporto tra il belga e il Napoli è in controtendenza rispetto a tutto quel che è accaduto nel calcio nell’ultimo decennio (e non solo)

Il posto di Dries Mertens nella storia del Napoli

Un legame che non conosce fine, quello tra Dries Mertens e il Napoli, e che dopo sette anni è pronto a rinnovarsi ancora. Senza discorsi tecnici ed economici che tengano: a quelli un dialogo paziente e costruttivo porrà soluzione. D’altronde quando c’è l’amore c’è tutto, e Troisi in questo caso non potrebbe nemmeno opporvi il primato della salute. Perché sarebbe impossibile non considerare il profondo affetto che è nato tra il calciatore belga e i napoletani, nelle intenzioni di rimanere in azzurro.

Mertens è in quel momento della carriera dove passa l’ultimo treno, quel contratto che massimizza le possibilità di successo o quelle remunerative in un altro club. Ma non è mai stata questa la priorità. Napoli è un universo a sé stante che ridimensiona ambizioni e sana avidità, in nome di un sentimento. Un concetto molto diverso dalla passione che i tifosi trasmettono a chi scende in campo, perché duraturo e convinto, corroborato stagione dopo stagione. E poi anche dai record, perché Mertens è il miglior marcatore di sempre nella storia del Napoli, insieme a Marek Hamsik, con 121 reti. Numeri ed emozioni che si susseguono veloci, nelle tante vite che Dries ha vissuto. L’esterno che contendeva la maglia ad Insigne al suo arrivo si è trasformato, con tempi e necessità che ne hanno fatto scoprire aspetti sorprendenti e incredibilmente efficaci.

Anche per questo il Napoli non se ne può privare. Perché se per una parte le ragioni del cuore hanno un peso specifico importante, per l’altra ha rilievo perlopiù la funzionalità di un nuovo accordo. E in questo caso è innegabile: il rapporto qualità/prezzo è tutto in favore di Mertens, in un mercato che non propone niente di meglio a determinate cifre. Allora, fatte le valutazioni del caso, con un rinnovo che ormai è alle porte e attende soltanto di essere formalizzato, è il caso di chiedersi quale sia il suo posto nella storia del club.

La retorica di un calcio senza bandiere è dilagata nell’ultimo decennio, per due ragioni in particolare: il contestuale ritiro di una generazione di capitani – che non poteva essere colmato in nessun modo – e la difficoltà di tanti critici di metabolizzare quel biennio 1995/96 che con la sentenza Bosman (libera circolazione dei giocatori comunitari) e la legge 586/1996 (scopo di lucro ammesso per le società sportive professionistiche) ha cambiato il modo di intendere, programmare e analizzare questo sport. E così, per forza di cose, tempi uguali di permanenza non hanno lo stesso valore, ancor di più per i giocatori stranieri che erano soggetti a limitazioni.

Il talento, le vittorie, persino le contraddizioni di una vita rendono Diego Armando Maradona unico e inarrivabile. Nessuno è riuscito ad eccellere in queste componenti come lui, nel bene e nel male. In un calcio più dinamico, monitorato, con dei ritmi dettati da parametri di sostenibilità economica più o meno rispettati, ecco che ciò che hanno compiuto Hamsik e Mertens nella loro promessa di fedeltà ne esalta lo spessore umano. Umano, appunto: bisogna tener conto di quest’aspetto quando si guarda allo slovacco, capitano di un’era, trasferitosi in Cina per inseguire un ingaggio enorme in un momento della stagione in cui non poteva essere sostituito sul mercato. Meglio spostare l’obiettivo su chi ha scelto di esserci negli anni, dunque, oltre ogni proposta. Perché Napoli è l’isola felice di Dries, e tanto altro ancora.

ilnapolista © riproduzione riservata