Il vicedirettore del Corsport scrive che se il calcio va fermato deve deciderlo il governo. I presidenti hanno il ministro che si meritano, i calciatori e i tifosi avrebbero diritto a ben altro
“Il calcio ha il ministro che si merita. Il Paese no. Il Paese ha un rappresentante che smentisce il suo governo e non è adeguato all’istituzione che rappresenta, né all’emergenza. Perciò sarebbe il caso che Vincenzo Spadafora si dimettesse, o piuttosto che il premier lo inducesse a farsi da parte”.
E’ il duro attacco del vicedirettore del Corriere dello Sport, Alessandro Barbano, al ministro Spadafora. Se riteneva giusto fermare il campionato, scrive, avrebbe dovuto dirlo prima del decreto con cui il premier Conte ha concesso le porte chiuse, scrive. E invece ha invocato fino alla sera precedente la messa in onda delle partite in chiaro. Ha scaricato la responsabilità su Sky, che ha dato da subito la disponibilità a trasmettere in chiaro, sui suoi canali, le sei partite del weekend, ma Sky non poteva decidere su tutte le reti televisive, pubbliche e private.
Per quello, bastava un decreto del governo,
“che, in nome dell’emergenza, nazionalizzasse il servizio, riportandolo nella sfera pubblica, e forse riconoscendo un indennizzo alle parti”.
Invece, il ministro, continua Barbano,
“ha preferito lucrare politicamente sulla crisi sanitaria, lanciando l’appello al calcio free, condivisibile nel merito, ma irraggiungibile senza il suo impegno diretto”.
I cittadini avrebbero bisogno solo dell’etica della responsabilità, che invece si è “perduta tra le sirene del consenso”.
“Se il calcio va fermato, deve deciderlo il governo, valutando le indicazioni degli esperti. Ma con una scelta che è politica, perché mette in comparazione più beni: la salute degli atleti, la lotta all’epidemia, il danno economico e civile allo sport e ai tifosi. Che non sono sudditi di un’autocrazia che dispone delle loro vite, ma cittadini la cui libertà è già fortemente compromessa. Lo stesso vale per gli atleti, legittimamente turbati, perché più esposti al rischio sanitario. E più confusi dai giochi e dalle trappole dei loro presidenti, che prima hanno invocato il diritto a giocare, poi hanno rinviato le partite scomode in nome dell’emergenza, infine hanno litigato sul calendario. I presidenti hanno il ministro che si meritano. I calciatori e i tifosi avrebbero diritto a ben altro”.