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Rocca: “Striscione contro di me? Solidarietà da tanti, ma non dalla Roma”

L’ex calciatore giallorosso intervistato dalla Gazzetta: «Ho dato una gamba per la Roma. Mi hanno salvato lo sport e Seneca. Gattuso uno dei miei calciatori più fedeli. Ora sono spariti tutti»

Rocca: “Striscione contro di me? Solidarietà da tanti, ma non dalla Roma”

Il Corriere dello Sport intervista Francesco Rocca, ex calciatore della Roma, oggi allenatore e osservatore della Nazionale. E’ una lunga e dolorosa intervista. La sua fu una carriera spezzata, bruscamente, a soli 22 anni, nel 1976. Contro di lui, nel weekend, i tifosi laziali hanno esposto uno striscione disgustoso. Lo definivano “zoppo”, accomunandolo a Zaniolo. E’ su questo che Rocca risponde.

«La mia vita è stata forgiata dal dolore, cosa vuoi che mi tocchi uno striscione? E comunque basta parlarne. Ho perdonato e ho chiuso. Mai odiato nessuno e mai lo farò. Il tifo per me è gioia, passione. Chi fa altro non entra nel mio mondo. Non so chi siano e non voglio saperlo. Ribadisco il perdono immediato».

Rocca racconta di aver ricevuto diverse telefonate di solidarietà, tranne quella della Roma. E invece una telefonata del club se la sarebbe aspettata.

«In fondo, se soffro una claudicanza è stato per quella maglia. Ho dato una gamba per la Roma».

Neppure la Lazio l’ha chiamato.

«No, non erano tenuti».

Rocca ha giocato solo tre anni con la Roma da calciatore integro, eppure, per gli avversari, resta una bandiera giallorossa.

«Una bella anomalia che m’inorgoglisce. È il rispetto per quanto ho dato a questa maglia. E per come questa bellissima storia s’è interrotta in maniera traumatica. Con la Roma società non ho niente a che fare da una vita».

Dopo l’infortunio al ginocchio, Rocca continuò a giocare per quattro anni.

«Sì, ma non ero più io. Il Rocca calciatore finisce a 22 anni, quel giorno maledetto. Io credevo di poter recuperare, le ho provate tutte, ma qualcuno sapeva che non avrei più potuto giocare e, nonostante ciò, diede l’ok per farmi fare una tournée in America».

Il medico sociale non lo fermò, racconta, per paura che lui decidesse di farla finita.

Racconta la tragedia capitatagli, i dolori lancinanti, le illusioni di tornare integro che poi svanivano puntualmente. Il fatto che non tornerà mai nemmeno a camminare bene. Fu lui, alla fine, a decidere di smettere.

«Sono io che dico basta. Non aveva senso continuare quell’assurda altalena. Fu una scelta difficilissima. Non ero certo benestante, non lo sono neanche adesso».

E’ stato lo sport a salvarlo, dice.

«Per anni ho fatto tre ore di spinning al giorno tre volte a settimana. Ho cominciato a studiare come un pazzo. Il corpo umano, la biomeccanica. E poi mi ha aiutato Seneca. Nel ’94, tornando da Coverciano, entrai alla stazione Termini e mi colpì la copertina delle Lettere e Lucilio. E lì conobbi Lucio Anneo Seneca in tutto il suo splendore. Lo tengo sempre con me sul comodino».

La sua carriera da allenatore cominciò con l’addio alla Roma.

«Faccio il corso a Coverciano. Il dottor Franchi mi chiese se volevo entrare nei ranghi. Onorato, gli dissi che avrei parlato prima con la Roma. Alla Roma mi dissero che avrei dovuto farmi le ossa fuori dalla Roma. Ne presi atto».

E Rocca parla anche di Gattuso. Lo indica come uno dei giocatori tra i più fedeli che abbia mai avuto.

«Mi ha seguito ciecamente. Se lo sento ancora? Sono spariti tutti».

Ora Rocca sta per tornare con un ruolo dirigenziale. Se arrivasse l’offerta di un club ci penserebbe, ammette.

«Chiarendo subito che non voglio intermediari. Porterei solo un preparatore, un amico fraterno, uno dei più bravi. Io sono l’imprenditore di me stesso. Contratti solo annuali. Concordiamo un obiettivo. Se non arrivo, me ne vado. Se arrivo, sei tu che guadagni».

 

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