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Ancelotti come Craxi, odiato per il suo riformismo. Favino si prepari

Appunti per il prossimo film. Eretico rispetto al sarrismo, come Bettino al dogma comunista. E vittima di una campagna mediatica violenta e denigratoria

Ancelotti come Craxi, odiato per il suo riformismo. Favino si prepari

Chissà se il Gianni Amelio del 2040 si cimenterà con il dramma umano che ha afflitto gli ultimi mesi della SSC Napoli; in tal caso, consiglieremmo Favino, per il ruolo di Carlo Ancelotti. L’allenatore più odiato dai napoletani.

Sì, perché, raramente, negli ultimi quindici anni, c’era stato qualcuno capace di contendere il titolo di uomo più odiato dai tifosi del Napoli al vecchio Aurelio, pappone e nemico giurato per eccellenza, antagonista perfetto da graphic novel.

D’altronde, se le parentesi del Benitez futuro madridista e dell’Higuain latitante estivo furono relativamente brevi e superate dal lavaggio salvifico del campo, quella di Ancelotti sulla panchina azzurra è stata una vera rivoluzione del pregiudizio e della diffidenza, culminata nel nostro particolarissimo Hotel Raphael; al termine di una campagna mediatica diffamatoria e violenta durata mesi, per cui il vecchio allenatoruncolo era venuto a far allenare il figlio, a far comandare il genero e a mangiarsi la mozzarella, a prendersi la pensione.

Perché, come Craxi, Ancelotti ha commesso svariati errori da allenatore: ma ha avuto una visione che ha cozzato con la realtà (come il brillante Alfonso Fasano ci ha mostrato) e che ha meritato un giudizio politico negativo.

Ancelotti, maestro com’era di politica estera, ha sottovalutato l’incidenza degli affari interni, mostrando forse arrendevole sufficienza alla risoluzione dei casi spinosi (Insigne, Mertens, Callejon e Allan) e inguaribile ottimismo di fronte ai campanelli di allarme motivazionali dell’anno scorso, proiettato com’era ad affermare la sovranità azzurra nelle ‘notti di Sigonella’ di Anfield o del Parc des Princes e ad inseguire una chimera colombiana mai arrivata.

Cionondimeno va riconosciuta la statura dell’uomo, che di fronte alla pochezza di un gruppo devastato da lotte fratricide – che adesso escono pian piano fuori, sotto la guida del delfino Gattuso (che non è Martelli, al momento sembra più Giuliano Amato anche se è difficile immaginarlo nei panni del Dottor Sottile; capiremo più in là se è Caldoro) – e disturbato da una società assente, provò a tenere unito l’unibile per salvare il salvabile.

Perché il ritiro-ammutinamento fu innanzitutto vissuta come una sconfitta personale, lui cuscinetto naturale tra la squadra e la proprietà, che in quella notte perse la leadership ma non la faccia, andando da solo a Castelvolturno, dopo che meno di 24 ore prima aveva pubblicamente contestato la scelta.

D’altronde, l’esilio forzato a Goodison Park non pare oggi una scelta malsana, posto che è il Napoli a sprofondare e i blu di Liverpool, trascinati dall’entusiasmo, a risalire in classifica. Lo è stata, forse per noi, visto che, aderendo alla ricostruzione più in voga in queste ore, si è perso tanto il gruppo dei post-sarristi, oramai spenti dall’incedere del tempo, quanto quello delle nuove promesse ancelottiane (Fabian, Meret, Di Lorenzo, Lozano), che hanno visto la loro lealtà scambiata come stigma di eresia ai dettati del “loro 4-3-3”.

Inutile ripetere il concetto: l’innovazione di Ancelotti è stata fallimentare perché fallibili sono gli uomini, non perché le idee fossero insufficienti a reggere all’urto della realtà. Craxi, eretico rispetto al dogma comunista, rappresentava pur sempre un punto di vista organico alla sinistra, della quale si sentiva pur sempre parte: così Ancelotti, che con l’idea di bel gioco era cresciuto e divenuto grande, aveva inteso modernizzare quei concetti di sacchiana memoria, senza mai strizzare l’occhio all’universo reazionario difensivista. Un riformismo, con ancorata l’idea che tutto sommato, possesso o non possesso, le statistiche che contavano erano quelle dei gol fatti e dei gol subiti, specie di fronte ad avversari più forti.

Tra vent’anni, il Gianni Amelio del 2040, potrebbe pensarci: Favino, tutto sommato, non dovrebbe avere problemi col sopracciglio.

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