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«Non vogliamo pietismo, giudicate noi atleti disabili dai risultati e dalle prestazioni»

La ciclista paralimpica Hannah Dines sulla Bbc: «Questo è inspiration porn, non vogliamo essere di ispirazione per nessuno. Non gareggiamo contro la nostra disabilità”

«Non vogliamo pietismo, giudicate noi atleti disabili dai risultati e dalle prestazioni»

La parola chiave è “nonostante”. Quando guardiamo un tennista sulla sedia a rotelle fare un vincente all’incrocio delle righe, o un giocatore di ping pong senza braccia che schiaccia tenendo la racchetta tra i denti, o un nuotatore che macina vasche su vasche solo di braccia, la prima scintilla d’ammirazione scocca con un “nonostante”. “Nonostante” non abbia le braccia, o le gambe, o non ci veda, riesce a fare sport a questo livello, a vincere medaglie. Il pensiero successivo, un riflesso condizionato, è “che esempio”, “quanta forza di volontà!”.

Si chiama “inspiration porn”, il porno delle ispirazioni. La definizione è della attivista per le disabilità Stella Young. Ed è una perversione buonista tutta dei “normodotati” che agli atleti disabili dà un sacco fastidio: la tendenza a rappresentare le persone con disabilità come fonte di ispirazione solo o in parte sulla base della loro stessa diversità fisica. Il “nonostante” implicito nel giudizio di valore, insomma. Che funziona al contrario, ma non ce ne rendiamo conto.

Lo scrive in un editoriale sulla Bbc Hannah Dines, fisiologa scozzese ma soprattutto ciclista paralimpica che ha gareggiato anche alle Olimpiadi di Rio del 2016 nel triciclo classe T2. Soffre di una paralisi cerebrale che le impedisce di correre su una bici a due ruote.

“La nostra disabilità è la comparazione in negativo che legittima come positivi i nostri risultati sportivi. È come se non potessimo avere una cosa (il successo sportivo) senza l’altra (l’handicap di partenza). L’ironia sta nel fatto che per molti paralimpici la disabilità è una cosa buona. Ma se dici ad qualcuno che è “so inspirational”, di grande ispirazione, dopo aver assistito alla sua performance sportiva perché ha un difetto fisico, invece semplicemente di dirgli “sei veramente bravo in questa cosa”, dovresti sapere che suona quasi come un insulto. Gli stai negando la possibilità di commentare ogni altro aspetto positivo della prestazione sportiva”.

Il punto è che per l’atleta disabile il “nonostante” si traduce invece in un “a causa di”. E che come spesso accade per i protagonisti della storia la narrazione che ne facciamo può risultare sbagliata se non dannosa.

“Ho vinto la medaglia d’oro perché ho battuto la mia disabilità, la storia è questa. Tuttavia, rendendo la disabilità l’antagonista si rimuove l’enfasi dal raggiungimento dell’abilità nello sport”.

In parole povere: gli atleti disabili si sentono atleti, non disabili che fanno sport. E ragionano come tali.

“Questo modo di pensare suggerisce che il successo di un paralimpico sia per la maggior parte frutto della testa, che con un sufficiente livello di determinazione puoi fare tutto. Come se io potessi cancellare nella mia testa la mia paralisi cerebrale, o come se quelli con una spasticità più grave fossero da biasimare perché non erano abbastanza testardi da bambini…”.

È la grande retorica della “battaglia”, quella che spesso viene usata a vanvera per i malati di cancro. E che ha un effetto micidiale nella combo sport-malattia.

“L’ironia è che molti atleti paralimpici sono in armonia col loro corpo, tanto da arrivare a fare sport a livello agonistico, da arrivare alle Olimpiadi. Passano meno tempo ad avere angoscia mentale verso se stessi, e diventano sempre più bravi nella loro disciplina. La gente non vede molto spesso le nostre gare, ma soprattutto non vede mai il nostro duro allenamento”.

“La gente è portata a pensare che la “forma fisica” sia conseguenza delle ore passate in palestra, o di quanto dimagriamo mentre facciamo allenamento. Chiunque si muove in modo diverso – la cui forza o forma fisica si presenta in modo diverso – non ottiene lo status… Significa che nella percezione generale grazia, abilità e massa muscolare sono ancora appannaggio di cervelli e muscoli normali. E così anche i risultati sportivi”.

“Mi chiedo se ciò che facciamo come Paralimpici sia far sentire meglio le persone normodotate riguardo a qualcosa che percepiscono come scomodo, ma che non ha assolutamente nulla a che fare con le prestazioni sportive. Ma io credo di avere il diritto di scegliere come venga rappresentata la mia fisicità. E per Tokyo 2020 ho deciso di riprendermi… l’ispirazione”.

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