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MicroMed, l’analizzatore di polveri realizzato a Napoli che andrà su Marte

Un innovativo progetto di un gruppo di giovani scienziati dell’Osservatorio di Capodimonte. La responsabile: “Hanno fatto in un anno il lavoro per il quale ne servono cinque”

MicroMed, l’analizzatore di polveri realizzato a Napoli che andrà su Marte

Il prossimo luglio, sulla sonda europea dell’Esa ExoMars 2020, partirà, in direzione Marte, anche un po’ di Napoli. A bordo ci sarà MicroMed, un innovativo analizzatore di polveri realizzato da un gruppo di giovani scienziati dell’Osservatorio di Capodimonte.

Lo racconta il Corriere del Mezzogiorno con un’intervista alla responsabile scientifica del progetto, Francesca Esposito, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

«MicroMed è uno strumento che studia le polveri marziane al livello della superficie. Marte è un pianeta desertico dove la polvere è ovunque e quando viene sollevata dal vento può creare vasti fenomeni come le tempeste globali che avvolgono il pianeta anche per lunghi periodi, influenzandone il clima”.

Non solo, spiega.

«Lo sfregamento delle particelle sollevate dal vento genera cariche elettriche che possono innescare scariche in atmosfera: un serio pericolo per gli uomini e le strumentazioni delle future missioni”.

Studiare le polveri marziane è dunque fondamentale ma servono anche delle misure da attuare sul posto:

«e siamo orgogliosi di dire che questa sarà la prima volta in assoluto che si riuscirà a monitorare completamente il processo di origine delle polveri e le loro caratteristiche».

MicroMed nasce a Napoli perché, spiega,

«il nostro gruppo è nato qui molti anni fa proprio per studiare le polveri: prima quelle cosmiche, poi quelle emesse dalle comete, fino ad arrivare alla planetologia. Per questo “MicroMed” è una creatura completamente napoletana».

Il nome significa microMedusa perché è uno strumento miniaturizzato ma con componenti interni estremamente complessi. Un progetto reso possibile dal lavoro di squadra

«anche in collaborazione con il Politecnico di Milano e altri istituti coinvolti, a Madrid e Mosca. Ma la vera forza motrice è stata qui, a Napoli, dove il gruppo di ricercatori tutti meridionali, giovani ed estremamente motivati, ha lavorato e pensato come una squadra in cui ognuno ha dato il suo apporto, senza tirarsi indietro neanche nei momenti più difficili, che non sono certo mancati».

La certezza dei finanziamenti, ad esempio, è arrivata solo ad aprile 2018 ma lo strumento doveva essere pronto da spedire in Russia per l’assemblaggio ad agosto.

«Così abbiamo avuto solo poco più di un anno per fare un lavoro per il quale, in questo settore, servono almeno cinque anni, ma ce l’abbiamo fatta»

Nessuno dei ragazzi si è risparmiato, assicura. Hanno dedicato al progetto tutto il tempo che avevano, trascurando anche le proprie famiglie.

«Per mesi non sono esistiti orari né domeniche o vacanze; si stava in laboratorio fino a tarda notte provando e riprovando a risolvere i problemi che si presentavano. Ho fotografie di noi, a mezzanotte, chiusi in quindici nella camera dei test, con le facce sfatte dalla stanchezza ma nessuno ha mollato».

Un risultato che dipende anche dallo spirito napoletano, pensa la Esposito. Altrove non sarebbe stato posibile

«Diciamo che è un modo di affrontare le cose un po’ italiano ma anche napoletano. Il bello è che tutti si sono impegnati facendosi carico anche dei problemi altrui, perché il progetto era di tutti. Alla fine oltre che un’avventura scientifica è stata un’esperienza umana bellissima e incredibile»

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