«C’è più rispetto da parte dei giocatori nel faccia a faccia con un arbitro donna, c’è meno aggressività anche nelle parole utilizzate. L’importante è prendere le decisioni giuste»
Stephanie Frappart, quando l’arbitro è donna
Stephanie Frappart, 36 anni, arbitrerà la finale di Supercoppa europea del 14 agosto a Istanbul tra il Liverpool di Jurgen Klopp vincitore della Champions e il Chelsea che si è aggiudicato con Sarri in panchina a maggio l’Europa League, ma guidato ora da Frank Lampard. A completare la terna arbitrale l’irlandese Michelle Ò Neal e l’italiana – tesserata per la Francia – Manuela Nicolosi.
Frappart è stata la prima donna ad arbitrare una partita maschile di Ligue2 in Francia, nel 2014, (Niort-Brest), e la prima a farlo in Ligue1: il 28 aprile 2019 Amiens-Strasburgo. Ha diretto la finale del Mondiale femminile 2019 tra Stati Uniti e Olanda.
In Uefa non è la prima
La Frappart non è la prima donna che viene designata per arbitrare una gara dell’Uefa. Prima di lei, è toccato infatti alla francese Nicole Petignat, che tra il 2004 e il 2009 ha diretto tre partite di Coppa Uefa.
Forse stava pattinando
David Le Frapper, all’epoca allenatore del Valenciennes, commentò così un rigore non concesso dall’arbitro nell’incontro con il Laval: “Il rigore c’era ma l’arbitro non l’ha visto, forse stava facendo pattinaggio. Quando si è donna e si arbitra uno sport da uomini, è complicato”. Successivamente, l’allenatore si scusò.
“È molto raro che accada. È un comportamento che va al di là del mondo del calcio. Non ho voluto parlare con lui, ciascuno ha fatto la sua strada”.
La replica di Frappart a L’Express, 12 aprile 2019
Nessun problema con gli uomini, anzi
“I calciatori sono competitivi, che tu sia un uomo o una donna cambia poco. Noi restiamo l’arbitro, colui il quale prende le decisioni, L’aspetto principale per loro è che tu prenda la decisione giusta. Se sbaglio, sono contestato come viene contestato un uomo. C’è più rispetto da parte dei giocatori nel faccia a faccia con un arbitro donna, c’è meno aggressività anche nelle parole utilizzate”.
Frappart a District-foot 95, 13 luglio 2017
Le Journal du Dimanche la intervistò il 26 ottobre del 2014 dopo il decimo arbitraggio in Ligue 2.
Non sono un alibi per la causa femminile
“Ho dimostrato che non sono un alibi per la causa femminile ma che sono qui per le mie capacità”.
Monsieur ou madame?
Durante il match Dijon-Clement, un calciatore le chiese: “devo chiamarla monsieur ou madame?”. Lei non si smontò e rispose: “A cosa pensi che assomigli?”
La madre che abbandona gli spalti
«L’ascesa della giovane donna single (30 anni) è l’orgoglio di sua madre che da molto tempo la segue sui campi. Nelle categorie inferiori, ha dovuto spesso abbandonare gli spalti e girare attorno allo stadio per non sentire troppi apprezzamenti su di me…».
“Con gli uomini, impone il suo stile: né poliziotto, né affascinante, né egocentrica”.
All’epoca, Le Journal du Dimanche scrisse anche del suo stipendio: “Riceve un assegno di preparazione di 1.550 euro al mese, e un assegno di partita di 1.300 euro. Per essere il quarto arbitro in Ligue1, ha ricevuto 550 euro a partita”.
È il miglior arbitro della Ligue2, parola di uomo
Il centrocampista Pierre Bouby, dell’US Orléans ha detto a l’Équipe: «È il miglior arbitro della Ligue 2, ha una voce bassa, carisma e personalità. Spiega le decisioni, è diplomatica e possiamo parlarle, non cerca di mettersi al centro della partita, il suo obiettivo è davvero il gioco».
Marco Ciriello, Il Mattino
Guardiola e la mano sulla spalla del “quarto uomo” che poi era una donna
Bibiana Steinhaus è stata la prima donna ad arbitrare in Bundesliga. Nel 2014, venne designata come quarto arbitro del match tra Bayern Monaco e Borussia Mönchengladbach. Sulla panchina dei bavaresi c’era Pep Guardiola. Che fu protagonista di un gesto molto criticato. Le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla. Lei, evidentemente infastidita, gliela tolse; lui venne fortemente criticato per il gesto paternalistico. Ne scrisse anche il Guardian. In precedenza, il tecnico catalano – in occasione di una contestazione – le toccò due volte il braccio con fare stizzito.
La misoginia non è solo degli allenatori
Sabine Bonnin, arbitro donna, ha detto di Stephanie Frappart: “È una combattente, è sola in un mondo di uomini. La misoginia non c’è soltanto tra gli allenatori. Tra i miei colleghi arbitri, ce n’è ancora qualcuno che si domanda cosa ci faccia lei tra di loro”.
Femme actuelle 23 aprile 2019
Manuela e le terne miste
Un’assistente di Stephanie Frappart sarà Manuela Nicolosi, italiana, romana, trasferita in Francia per motivi di lavoro e per questo tesserata per l’Aia francese. Manuela, 38 anni, ha già assistito la Frappart nella finale del mondiale femminile lo scorso mese di luglio, ricevendo i complimenti di Macron e Infantino. Lei, l’irlandese Michelle Ò Neal e la Frappart costituiscono una terna internazionale fissa.
Manuela è dovuta “emigrare” per motivi di lavoro. Così, dopo il trasferimento in Francia, la Nicolosi ha voluto continuare ad arbitrare («non ne posso fare a meno», ha confessato in una recente intervista al Messaggero) crescendo molto, fino ad arrivare fino alla Ligue2. Il prossimo step sarà la Ligue1, magari già in questa stagione, con la Frappart in mezzo al campo. «Ma in Francia non conta se sei uomo o donna. Ci sono anche terne miste perché se superi i test, che non sono diversificati tra uomini e donne, vai sicuramente avanti».
Roberto Avantaggiato, Il Messaggero
Giovannella Pantani la prima italiana
“È arrivata l’arbitressa”, titolava la Domenica del Corriere. L’arbitressa era Giovannella Pantani che nel 1971 passò alle cronache per essere stata probabilmente il primo arbitro donna del movimento calcistico italiano. Ne scriveva nel 2016 un numero speciale de L’Arbitro, rivista dell’Aia. Numero interamente dedicato alle direttrici di gara. Giovannella Pantani era figlia del presidente degli arbitri livornesi e toscani. In questo caso, però, essere “figlia di” non le assicurò alcun vantaggio. Nonostante avesse superato gli esami di idoneità, la commissione Commissione Regionale Arbitri non poté iscriverla nel verbale d’esame: allora la Federazione non ammetteva arbitri donne. Prima di Giovannella Pantani la Federazione di calcio femminile aveva arruolato solo due “guardalinee”: Armanda Prochet Sicco e Antonietta Cosentino.
Giovannella diresse molte gare nel centro-nord, debuttò nella Serie A femminile il 25 Aprile 1971 a Loano, e successivamente altre gare di tornei tra cui un Livorno-Pisa, allo Stadio Comunale di Livorno. La sua attività arbitrale durò appena poche stagioni in un mondo non ancora pronto ad aprirsi alla presenza delle donne in settori tipicamente maschili quali l’arbitraggio.
L’Arbitro, numero speciale di giugno 2016
In Italia l’esempio della pallavolo
Quanto dovremo aspettare perché anche in Italia una donna arbitri una partita di calcio maschile di questo livello? In altri sport come la pallavolo è già avvenuto. Arbitrano partite di Superlega (che è la massima serie della pallavolo maschile) e non solo. Non a caso nella pallavolo, sport che ha rappresentato un volano per la crescita della partecipazione sportiva delle donne. D’altro canto la Presidente della Lega Pallavolo serie A maschile è una donna.
Lina Laura Sabbadini, La Stampa
L’emancipazione non passa per gli spot
Non rappresenta una svolta la decisione dell’Uefa di affidare per la prima volta nella storia la finale di Supercoppa europea a Stephanie Frappart. Perché un’emancipazione vera non passa per una partita spot, ma piuttosto per un’integrazione effettiva delle donne nel movimento arbitrale. Purtroppo, in tempi di “femininely correct” i simboli contano più dei fatti
Alessandro Barbano, Corriere dello Sport
Non è più uno sport ma uno strumento di educazione del popolo
Alla faccia della parità, la pur brava Stéphanie non ha mai arbitrato partite di questo livello, cosa che i suoi colleghi con il fischietto di pelle in mezzo alle gambe arrivano a fare solo dopo molti anni di partite europee dirette senza errori (il populismo non fa così orrore quando è travestito da progressismo, eh?). La Frappart però è donna, e tanto basta per superare la fila dei maschi. Naturalmente questo non si può dire, in questi casi il merito è totalmente soggettivo, la parità una parola usata come piede di porco per giustificare decisioni non paritarie, e tutti, venerdì, su social e testate online facevano a gara per brindare a un nuovo successo del progresso buono che renderà il calcio un posto migliore, inclusivo e aperto ai diritti.
Il calcio sta smettendo di essere uno sport per diventare teatro di esperimenti sociali e strumento di educazione del popolo. Non più sudore e lacrime, ma diritti e spettacolo.
Jack O’ Malley, il Foglio