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I napoletani sono una tribù che ha deciso di estinguersi perché rifiuta il nuovo

Idealizziamo il passato senza renderci conto che in questo modo non riusciamo a vivere bene il presente e non riusciremo mai a costruire un futuro

I napoletani sono una tribù che ha deciso di estinguersi perché rifiuta il nuovo

Il passato che fu

Dall’annuncio ufficiale del passaggio di Maurizio Sarri alla Juventus si è scritto e parlato fin troppo. Traditore o non traditore? Professionista o non professionista? Comandante o servo del potere? Forse tutto e niente. Prendo spunto dalla definizione di tradimento della Treccani – la stessa che ha inserito tra le sue prestigiose pagine la definizione del neologismo “sarrismo” – . Il tradimento è:“L’atto e il fatto di venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà; Azione delittuosa o dannosa compiuta, mascherando le proprie intenzioni, contro persone o istituti che hanno fondato motivo di fidarsi”.

Secondo questa definizione possiamo affermare che Sarri sia un traditore? A mio parere no.  Non mi sembra sia venuto meno a un dovere o a un impegno morale. Non mi sembra che abbia mascherato le sue intenzioni. Sono i “sarristi”, è il popolo napoletano a sentirsi tradito perché aveva elevato a mito l’allenatore con la tuta rendendolo simbolo popolare nella lotta contro il potere e i potenti. Contro il palazzo. Ma in nessun momento Sarri si è autoproclamato “Comandante” di un movimento o di un’idea se non della sua visione del calcio e della bellezza del gioco.

Sarri è arrivato al massimo

Non capisco tutto il clamore e le polemiche intorno alla sua scelta di andare ad allenare la Juventus. È arrivato al massimo sportivo in Italia – non è questo il momento di occuparci di come siano state ottenute le vittorie della Juventus – con le sue forze non chiedendo mai nulla a nessuno come da lui stesso dichiarato. Di tutta la vicenda,l’aspetto che mi sembra più interessante è l’atteggiamento dei napoletani, di quelli che si sentono traditi e di quelli che condividono la scelta professionale dell’ex allenatore del Napoli. Il calcio è lo specchio della società e il Napoli lo è dei sentimenti e della vita di molti napoletani. Siamo un popolo che vive di memorie, di fantasmi, di ciò che c’era prima senza apprezzare ciò che c’è oggi.

Viviamo nel ricordo del passato

Viviamo nel ricordo di un glorioso passato – non sempre un passato remoto –pretendendo tutto solo per il fatto di essere napoletani senza fare nulla per ottenerlo. Come se ci spettasse per diritto in virtù di qualcosa che fu. E siamo sempre pronti a celebrare il passato. L’esempio lampante è stato proprio il cambio di allenatore e il passaggio da Sarri ad Ancellotti uno dei tecnici più vincenti al mondo. Non è bastato arrivare secondi in campionato e disputare una buona stagione europea e porre le basi per il futuro. Il tifo si è spaccato, lo stadio si è svuotato e addirittura si è parlato di fallimento. Concludo citandoPasolini: “i napoletani sono una grande tribù… Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità… è un rifiuto, sorto dal cuore della collettività … Una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto… I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili e incorruttibili”.

Idealizziamo il passato senza renderci conto che in questo modo non riusciamo a vivere bene il presente e non riusciremo mai a costruire un futuro.

Nel calcio come nella vita.

 

 

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